quarto stato

giovedì 29 dicembre 2011

Quirra: no all'affossamento della verità

Uranio, guerra tra periti
La Sgs smentisce Zucchetti: i calcoli sono sbagliati

Polemiche tra esperti della Procura e della difesa sulle analisi di un agnello nato con due teste nel Salto di Quirra. Il sindaco Mura: «Un danno alla nostra immagine».

Uranio impoverito a Quirra? C’è chi dice sì e c’è chi dice no. E sui tavoli del Procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi, che indaga sui presunti rapporti tra le guerre simulate e l’insorgenza di tumori e leucemie nella zona attorno al poligono di Quirra, va in onda una sorta di anteprima di quel che potrebbe accadere nell’eventuale processo sulle responsabilità penali.

A Roma intanto il presidente della commissione uranio impoverito, Rosario Giorgio Costa, dopo i sopralluoghi in Sardegna, afferma che la scienza oggi non può stabilire un nesso tra esposizione a certe sostanze ed insorgenza a determinate malattie. «Ma teniamo sotto controllo anche i vaccini, lo stress, le polveri sottili. E in ogni caso, abbiamo stanziato 9 milioni di euro per risarcire 98 soldati malati dopo le missioni all’Estero o il servizio nei poligoni sardi».

martedì 27 dicembre 2011

Magistratura. Morti sul lavoro, allarme da Torino

Lo Stato smantella i pool specializzati

La normativa sulle rotazioni decennali obbliga i sostituti più esperti in materia a cambiare settore o sede. Decimato il gruppo che ha ottenuto risultati importanti nei casi Thyssen e Eternit. La richiesta di una Procura nazionale ad hoc. Oltre mille vittime nel 2011

 

Lo Stato sembra abdicare nella difficilissima battaglia per la sicurezza sui posti di lavoro. Non lo dice esplicitamente, ma, di fatto, agisce "come se" nel momento in cui, l'applicazione delle sue stesse norme porta praticamente a smantellare pool di provata esperienza come quello di Torino impegnato nelle delicatissime questioni della Thyssen 1e della Eternit 2. La norma in questione è quella cosiddetta della "decennalità" (dl 160/2006) in base alla quale i magistrati, ogni dieci anni devono "ruotare" e cambiare settore d'impegno. Norma che, ovviamente, ha una sua ratio e dovrebbe impedire il "fossilizzarsi" dei magistrati in un campo d'attività e far affluire forze nuove nei settori di maggiore specializzazione. Tutto bene salvo il fatto che, a Torino, entro la fine dell'anno, sei sostituti procuratori su nove che fanno parte del pool che si occupa di sicurezza sul lavoro saranno costretti a cambiare attività o sede (in totale gli spostamenti sono 13), a Milano sono 17, a Roma 11, a Padova 9, a Reggio Emilia 7. Ad essi subentreranno, tutti in una volta, colleghi  che, evidentemente, non hanno conoscenza adeguata della materia e impiegherebbero mesi per formarsi una certa esperienza. Il tutto a scapito di tecniche e procedure consolidate che hanno permesso al gruppo torinese che si è raccolto intorno al procuratore Raffaelle Guariniello di ottenere brillanti successi portando a sentenza con rapidità ed efficacia casi di estrema delicatezza e di grande rilevanza come, appunto, la Thyssen e la Eternit. 

domenica 25 dicembre 2011

Ministra Fornero, se ci sei batti un colpo

Oltre 1100 vittime: l'ecatombe dei morti sul lavoro
La tragedia italiana che non va dimenticata

“I morti sul lavoro dall’inizio dell’anno sono complessivamente più di 1100, di cui 655 sui luoghi di lavoro, e tutti documentati”. Sembra proprio un’ecatombe l’introduzione alla più aggiornata analisi pubblicata dall’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle Morti per Infortuni sul Lavoro, proprio dieci giorni dopo a quella data maledetta (12.12.11) che vale come un punto di non ritorno, con il superamento di tutte le vittime dell’intero 2008, l’anno peggiore per le morti bianche da quando l’Osservatorio svolge il suo costante e minuzioso lavoro di monitoraggio.

“Si può dire con amarezza che sulle morti sul lavoro l’Italia è un Paese unito – scrive Carlo Soricelli – Amministrazioni di centrosinistra o di centro destra, regionali e provinciali, al centro nord e come al sud hanno la stessa mancanza d’attenzione verso categorie che non hanno una forte organizzazione sindacale che esercita controlli sui luoghi di lavoro”. Si contano infatti i morti in agricoltura e in edilizia, spesso in sub appalto e spesso in nero, per un 60% del totale che ha un sapore amarissimo, e a cui nessuno sembra voler porre rimedio.

venerdì 23 dicembre 2011

Morti sul lavoro, proposte interessanti

Sicurezza sul lavoro
"Serve una Procura Nazionale"

Tempi lunghi della giustizia e tempi brevi per i magistrati
di Santo Della Volpe per Articolo21


Basterebbero 5 righe per non interrompere il lavoro di anni  e la prospettiva di creare una Procura Nazionale per la Sicurezza sui luoghi di lavoro: 5 righe di modifica all’articolo 19 del decreto legislativo n. 160/2006 che potrebbero recitare così: “le disposizioni dei commi 1,2 e 2-bis del presente articolo non si applicano ai magistrati che esercitano funzioni giudicanti e requirenti di primo e secondo grado addetti alle sezioni e ai gruppi di lavoro specializzati nella trattazione dei procedimenti penali aventi per oggetto reati commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza durante l’attività lavorativa”.

Precari. Lettera aperta al ministro Fornero

 Spett. ministro del Welfare Elsa Fornero,

siamo precarie e precari. Nel lavoro. Nel reddito. Nel welfare. Nei diritti. Negli affetti. Nelle tutele. Nell’accesso ai saperi ed ai consumi. Nell’esercizio della cittadinanza. Nei sogni, nel tempo. Siamo precari e precarie e non lo abbiamo scelto. Siamo i milioni di collaboratrici e collaboratori a progetto, partite iva, interinali, stagiste e stagisti, lavoratrici e lavoratori in affitto. Siamo il motore di un’economia in crisi e al contempo i primi soggetti sacrificabili.

giovedì 22 dicembre 2011

"Sindrome di Quirra", spuntano nuove testimonianze

Uranio, denunciati altri 14 casi. Il sito Vittimeuranio.com ha pubblicato 14 testimonianze dirette, alcune recentissime di altrettante possibili vittime della cosiddetta "Sindrome di Quirra", nell'area del poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra, in Sardegna, su cui la Procura di Lanusei ha aperto un'inchiesta nel gennaio scorso.  

I casi raccolti negli ultimi tre anni riguardano quattro morti e dieci persone gravemente malate, al momento della denuncia. "Storie", segnalate da Francesco Palese, responsabile di Vittimeuranio.com, "che potrebbero essere approfondite da chi sta indagando sul fenomeno e che, per questo, mettiamo a disposizione degli organi competenti a cominciare dalla Procura della Repubblica di Lanusei e dalla Commissione parlamentare di inchiesta".  

"I casi di morte", spiega il giornalista, "riguardano un bambino di appena un mese, figlio di un militare, morto per un tumore al rene; la moglie di un militare, malato di cancro, deceduta per la stessa malattia, che viveva a pochi metri dal poligono; e ancora due militari. Tutti hanno operato nel poligono di Quirra. 
I casi di malattia riguardano militari ma anche civili affetti da linfomi, leucemie e altre patologie neoplastiche".
fonte AGI

mercoledì 21 dicembre 2011

Morti per uranio impoverito

Sono circa cento le vittime provocate dalle operazioni svolte dentro i poligoni sardi. Indennizzi ai familiari e nuove indagini sulla contaminazione del territorio

Quattro esperti dell’Istituto superiore di Sanità, e tre tecnici della regione Sardegna guideranno la prima indagine epidemiologica sanitaria nei tre poligoni militari sardi di Quirra, in Ogliastra, quello di Teulada, nel sud ovest della Sardegna, e quello di Capo Frasca, nell’oristanese.
La decisione è scaturita nel corso di un workshop, convocato a Cagliari dall’assessorato regionale della Sanità sul tema relativo ai problemi del salto di Quirra. All’incontro era presente anche la commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, guidata da Rosario Costa, che, insieme ai colleghi, ha visitato per due giorni i poligoni isolani.

sabato 17 dicembre 2011

L'ultima giravolta del partito senza memoria

Nel dibattito parlamentare sulla manovra è andata in scena una recita a soggetto che per molti mesi ancora accompagnerà la destra. Alla decadenza del confronto pubblico non sembra esserci più argine. Mentre il Paese si sta giocando la sopravvivenza, a destra si dividono i ruoli in commedia. Da una parte c’è chi cerca di smarcarsi da un governo votato ma poco gradito. E dall’altra chi assume i toni agitatori e annuncia una chiamata alle armi per una battaglia all’ultimo sangue.

La Lega è la più triviale manifestazione di quella sfacciata politica che, diceva Machiavelli, ha una doppia anima, una in piazza e una in palazzo. Dopo aver occupato così a lungo il potere, ed essersi anche distinta per la solerzia nell’attacco ai diritti sindacali (l’imposizione dell’arbitrato nelle controversie di lavoro venne schivato dal Colle che negò la firma), ora il Carroccio scopre una improbabile anima proletaria. È ridicolo passare dalle auto blu, dai fastosi consigli di amministrazione e dalle allegre cene di Arcore ai proclami insurrezionali redatti in nome degli umiliati e offesi.

Con la insulsa sceneggiata di vestirsi in aula con gli abiti operai, le satolle truppe di Bossi cercano di far dimenticare (troppo in fretta!) la loro responsabilità storica per la crisi e la decapitazione del diritto del lavoro. Il famigerato articolo 8 contenuto nella manovra estiva era stato difeso con le unghie anche dalle camicie verdi. Pure nelle occasioni più cupe, la Lega ha fatto da sentinella alle volontà di rottura di ogni coesione sociale sprigionata da Sacconi.

Per una mai dissimulata ingordigia di potere, la Lega ha calato le braghe sulla vicenda Milanese e ha scritto in atti parlamentari che Ruby era la nipote di Mubarak. Proprio il partito del ministro degli Interni ha poi protetto i sodali di maggioranza accusati di collusione con la mafia e la camorra. Sono stati anni fallimentari che hanno devastato l’economia e decurtato i fondi per i servizi locali (alla faccia del federalismo fiscale). Invece della sofferta meditazione sulle malefatte, il Carroccio preferisce dare fuoco alle polveri e coprire le sue colpe epocali sotto il fumo compiacente che tutto oscura.

Uno spirito di rivolta agita anche il Cavaliere ritornato parlante pur di ottenere il rapido oblio sulle responsabilità che hanno provocato il disastro. Il suo piano è di una semplicità infantile. Se le cose, come si augura, non daranno segnali di ripresa, il discredito ricadrà soprattutto sulle vecchie forze d’opposizione contagiate dal governo tecnico. E il Cavaliere potrà risorgere dalle ceneri una volta ancora come il nuovo che avanza dopo i salassi amari delle tasse volute dai truci poteri forti.

L’antipolitica è l’eterna sua carta. Al populismo contro il tecnogoverno cavalcato con impeto da Ferrara si aggiunge ora il rusticano anticapitalismo di Di Pietro. Per il miraggio di avere qualche pugno di voti in più, il partito neoideologico e veteropersonale dell’ex magistrato manda in aria ogni prospettiva coalizionale. Si apre un ciclo insidioso di insana demagogia. La ossessiva campagna antipolitica che il giovedì va in onda a reti unificate, e ogni giorno conquista i titoli conformistici della grande stampa d’opinione, sono una gradita boccata d’ossigeno per il Cavaliere e per chiunque coltivi il progetto di una uscita da destra dalla crisi di sistema.

Colpire le cariche più prestigiose e minare i partiti rientra nel disegno di chi rispolvera persino il caldo concetto novecentesco (ed eversivo) di stato di eccezione per dipingere il ruolo del capo dello Stato, reo di aver sospeso la legalità costituzionale e sospinto le istituzioni in una bellica terra di nessuno priva di garanzie legali e senza più custodi! Berlusconi si è detto già pronto a rivendicare il potere supremo di dare ordini dopo il tempo inutile del «disperato Monti».

L’antipolitica che ha arruolato tanti interpreti cerca ora di saldare il grave disagio sociale con la auspicata crisi dei partiti più sensibili ai richiami del bene pubblico. Lo scenario di una contrazione della democrazia in tempi di recessione non è da fantapolitica. L’antipolitica si arresta solo con partiti dalle radici sociali solide. La sinistra ha modificato su molti punti la manovra, correggendone palesi distorsioni e clamorose omissioni. La battaglia però continua.

Dalla crisi non si esce certo con la mistica del rigore. Servono le grandi idee della sinistra: crescita, dignità del lavoro, lotta alle ineguaglianze, sostegno alla domanda e quindi al reddito, politiche pubbliche, ricostruzione su base europea di un controllo politico del ciclo economico, della moneta e dei flussi finanziari. Anche nell’emergenza, le differenze con la destra restano abissali e solo le idee della sinistra possono battere la crisi.
di M.Prospero www.unità.it

domenica 13 novembre 2011

Ci meritiamo un futuro e una vita degni di questo nome


Si volta pagina. Una dolorosa stagione politica si è finalmente conclusa. Un'epoca durata troppo a lungo, dalla quale il Paese, i giovani, i lavoratori, le famiglie, noi tutti veniamo fuori con le ossa rotte e certamente più impoveriti: eticamente, socialmente ed economicamente.

Il compito ora è quello di ricostruire l'Italia.
Ogni cittadino amante della libertà, della giustizia,della democrazia è chiamato a dare il proprio contributo, ad esigere una parola densa di verità, ad esigere diritti, solidarietà ed equità sociale. Principi irrinunciabili che, archiviato il sig. B.,, vorremmo fossero i criteri ispiratori e fondanti del nascente'esecutivo.O meglio, la caratterizzazione principale del nuovo esecutivo e, cioè, una netta discontinuità rispetto il passato.

L'Italia ha bisogno di uscire dalla difficile situazione in cui le destre, italiana ed europea, hanno affossato il destino di milioni di uomini e donne del vecchio continente. Che a pagare siano finalmente coloro che hanno speculato. Gli intoccabili, quel 10% della popolazione detentore del 60% della ricchezza, di patrimoni accumulati sulla pelle dei ceti produttivi, dei precari, dei pensionati. Solo così possono essere tollerati provvedimenti che chiedono ulteriori sacrifici a quei ceti sociali (i soliti noti) sui cui si regge la fiscalità generale..

Per questo chiunque sarà designato a governare lo faccia rimettendosi in sintonia con l'insieme del Paese, affinchè
il progetto e le conseguenti decisioni legislative siano l'esito dell'ascolto, la sintesi che approccia e risolve i problemi veri delle masse popolari, contribuendo così a riconquistare quella dignità e credibilità perduta dalla politica.

E' bene ribadirlo: nessuno di noi, nonostante la gravità della situazione, concederà assegni in bianco e deleghe ad alcun demiurgo o presunto tale. Nessuno permetterà ad altri di poter più decidere sulla propria testa. Abbiamo già dato e.. patito!.

La rinascita dovrà per davvero segnare una svolta, essere un grande sommovimento in grado di suscitare consenso e speranza. Lo spartiacque dal quale ripartire dopo la lunga notte populista e plebiscitaria, dopo l'abbrutente ubriacatura mediatica, dopo gli intollerabili particolarismi e privilegi, dopo i tormentoni delle leggi ad personam. Cioè l'inizio del cambiamento.

Da cittadini consapevoli e coscienti saremo il cane da guardia che vigilerà su ogni legge, su ogni singolo provvedimento, su ciascun atto. Determinati a ricostruire il nostro personale e comune destino, con in cuore e nella mente i valori costituzionali e i diritti conquistati in anni di dure lotte, a partire, in primo luogo, dal diritto al lavoro, dalla cultura del lavoro e della legalità.

Aver cacciato via l'uomo di Arcore - è bene sottolinearlo - non significa la soluzione dei problemi. Ci aspetta un lavoro lungo e difficile, un cammino irto di insidie, non privo di tortuosità e non esente da possibili lacerazioni. Ma se la posta in gioco è la rinascita dell'Italia, questa fase di transizione dovrà essere per ognuno la riscoperta di un diverso e nuovo agire, di un diverso e nuovo orizzonte umano e culturale in grado di non smarrire solidarietà, civismo, quel bagaglio di valori che esaltano l'unità di tutte le forze sane e sinceramente democratiche.

Da qui ripartiamo. Da questa giornata da molti evocata come un nuovo 25 Aprile, perché ci meritiamo un futuro e una vita degni di questo nome. Da queste pagine un in bocca al lupo collettivo...

A presto

Vladimir

sabato 5 novembre 2011

Politica e transizione

Giorni addietro è apparsa sul Corsera un articolo/riflessione di Casini, leader dell'Udc, a proposito della transizione post-berlusconiana della politica italiana.
Mi sembra utile riproporre qui la risposta apparsa su L'Unità a firma Michele Prospero. Come al solito lascio a voi srotolare il filo della discussione..

Un saluto

Vladimir



Da Berlinguer a Casini, perché in
Italia il 51 per cento non basta mai

Con l’intervista apparsa sul Corriere del 4-11-11, il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini rilancia una antica questione, quella della impossibilità di governare una democrazia difficile con solo il 51 per cento dei voti. Fu Berlinguer, ormai quarant’anni fa, a gettare un’ombra di pessimismo sulla possibilità di far convivere una idea di transizione verso una società diversa con il principio di maggioranze numericamente risicate.

Quella soglia simbolica del 51 per cento, per il Pci, evocava una deteriore pratica dell’alternanza che era consueta in altri sistemi politici europei e però non appariva del tutto congeniale al progetto comunista di costruire una società altra. La parola stessa di alternanza rinviava per Berlinguer a una sterile competizione tra forze sempre più omologate inserite in un gioco di compatibilità destinato a perpetuarsi in eterno senza mai intaccare davvero gli assetti sociali esistenti. Non è certo in questo senso che ora Casini torna a riflettere sui limiti politici del 51 per cento. Nella sua analisi riaffiora una grande preoccupazione sulla persistente anomalia italiana. In Europa non solo si governa con il 51 per cento, ma costituisce un fatto del tutto fisiologico anche il ricorso a governi di minoranza. Lo stesso governo di Kohl, che ha gestito una fase storica convulsa come quella della riunificazione tedesca, contava su un solo voto di scarto. Persino in Paesi che oggi versano in gravi condizioni di emergenza (Spagna, Portogallo, Grecia) non solo non compaiono supplenze di prestigiosi organi istituzionali (che fortunatamente sono intervenuti in Italia per scongiurare vuoti drammatici di potere e per arrestare quindi una paurosa slavina) ma gli assetti bipolari e il gioco dell’alternanza non sono intaccati nella loro consueta oscillazione.

Il fatto è che nella vecchia Europa si riscontra un bipolarismo organico, cioè radicato profondamente nelle culture, nei soggetti e nelle convenzioni istituzionali. In Italia s’incrocia invece un bipolarismo solo meccanico, indotto cioè da meri ingranaggi coercitivi (come gli incentivi forniti dai premi maggioritari). Nessuna delle coalizioni vincenti nella seconda repubblica peraltro ha mai ottenuto il 51 per cento dei voti. Se a questo deficit di consenso si aggiunge pure che nelle ultime regionali circa il 40 per cento degli elettori o si è astenuto o ha votato scheda bianca e nulla, si percepisce tutta la precarietà delle basi di sostegno del sistema politico. Questa difficoltà reale nel funzionamento di un regime politico minato nel suo consenso sociale in Casini si tramuta anche in una impossibilità teorica di consolidare un bipolarismo più maturo che rivendichi in pieno l’attitudine a decidere senza evocare le supplenze di forti oligarchie sempre in agguato.

Il problema centrale di oggi non è di appurare se l’evoluzione della crisi richiederà governi tecnici, di emergenza o grandi coalizioni. In fondo, questi sono dettagli che dipenderanno da fattori al momento imponderabili. Il nodo è piuttosto quello di ridefinire uno spazio della politica in un mondo che abitualmente, così fa spesso il Corriere, contrappone le esigenze tecniche del mercato competitivo ai riti stanchi della democrazia elettorale o “della spesa”, oppure insegue, sulla scia di Repubblica, un qualche condottiero con un dono carismatico. Casini, giustamente, fa piazza pulita delle aspettative miracolistiche riposte in un qualche «improvvisato salvatore» e rivendica con forza il ruolo della politica, della analisi, della scelta controversa. Questo spazio autorevole riservato alla politica in un paese ormai sotto vigilanza però richiederebbe oggi una più chiara prevalenza della prospettiva strategica rispetto alla abilità di manovra, che certo non va accantonata.

Quando Casini sostiene che dopo il voto il terzo polo dovrà «costringere il vincitore a venire a patti» si comporta da novello partito corsaro che opera ai fianchi agitando un potere di ricatto. Le convergenze di analisi (sui limiti del meccanismo elettorale, e di questo sistema artificialmente bipolare) tra Casini e Bersani sono così palesi che sorprende (perché aggrava la crisi) la riottosità a tratteggiare una comune via d’uscita dalla melma berlusconiana.

Se le considerazioni attorno all’insufficienza del 51 per cento sono senza dubbio la parte più caduca della riflessione di Berlinguer, conserva invece ancora oggi validità la parte della riflessione relativa alla preoccupazione storica per la sinistra di impedire, nelle fasi di transizione, che il centro moderato si coaguli con la destra. Quando la sinistra ha offuscato questo nucleo di verità della cultura del compromesso storico ha favorito gravi collassi istituzionali. Ma anche il campo moderato, quando si è sottratto al dialogo con la sinistra, ha accentuato il declino di una democrazia maledettamente difficile come quella italiana.
 

giovedì 3 novembre 2011

Che sta succedendo?

Sembrano vicende ineluttabili, che sfuggono a qualsiasi controllo. Invece non è così.
Parlo della crisi e dello tsunami della finanza internazionale. Sono davvero in pochi a capirci qualcosa. Se si aggiunge poi il forte deficit di rappresentatività della politica e del rapporto tra politica ed economia, la frittata è completa.
Un buco nero...

Invito, chi segue questo blog, a visionare con attenzione la puntata del 30 ottobre 2011 di
Report. Gabanelli e redazione ci aiutano, con la loro solita puntigliosità, a comprendere quanto sta accadendo.
Eccovi il link:


report.rai.it/

Spero di aver fatto cosa utile

A presto

Vladimir

mercoledì 13 luglio 2011

Immigrati: No al "carcere" per gli innocenti


Clandestinità figlia della viltà

Il principio fondante di ogni civiltà umana che pretenda di chiamarsi tale è la giustizia. I grandi pensieri etici che hanno guidato il cammino dell'umanità nel suo travagliato sforzo di riconoscersi come unica, universale ed integra hanno posto l'idea di giustizia al centro del proprio sistema di valori, sia che si trattasse di sistemi religiosi, che laici. La giustizia edifica l'uguaglianza, la giustizia porta alla pace. L'uguaglianza degli esseri umani di fronte alla giustizia è la precondizione della democrazia.

Le strutture di cui una società si dota per garantire il rispetto della giustizia, gli atti costitutivi che contengono le strutture portanti del diritto, le leggi emanate dai Parlamenti hanno il compito di garantire ad ogni persona, in quanto individuo e in quanto membro di collettività, una giustizia giusta. La peggiore delle perversioni per una società di diritto, per una collettività libera e responsabile è quella di accettare, o cosa ancora più grave di legittimare leggi ingiuste.

Una legge è tale quando corrompe i principi stessi dell'idea di giustizia. L'attuale legge sulla clandestinità voluta dal governo delle destre e in particolare dalla sua componente leghista che la rilancia in ogni circostanza con grande passione, è una legge delittuosa. Inventa una figura di reato che mira a colpire la povertà e la disperazione. Trasforma una condizione esistenziale o tutt'al più burocratica in crimine. Il reato di clandestinità è una legge criminogena che discrimina gli uomini in base alla loro sorte, alla loro fragilità e alle loro sofferenze. Come le leggi naziste di Norimberga trasforma esseri umani innocenti in criminali per il solo fatto di essere quello che sono. Non c'è una sola persona che sfugge alle guerre, che cerca di salvarsi dalla fame che voglia fare il clandestino per vocazione.

La sua è una scelta fra la vita e la morte, fra la sicurezza e la fame, fra la salvezza e la tortura, fra la libertà e l'oppressione, fra la dignità e l'umiliazione.

Ma questo governo che fonda il miserabile brandello di legittimità tecnica che ancora gli rimane sulla paura dell'altro, sulla vieta propaganda della menzogna sicuritaria, non pago di avere varato una legge illegale ed ingiusta perché viola i principi più sacri del nostro dettato costituzionale e della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ha scelto, con la tipica ferocia della mentalità reazionaria, di portare i tempi di reclusione dei clandestini a 18 mesi, in luoghi di detenzione denotati eufemisticamente da sigle asettiche che in realtà sono galere. Il pretesto è quello dell'identificazione, lo scopo vero è quello dell'accanimento vessatorio contro innocenti indifesi con la miope e vile speranza di scoraggiare l'immigrazione.

L'unico miserabile risultato sarà quello di procurare sofferenze, umiliazioni e violenze ad esseri umani incolpevoli, perché non c'è nessuna legge per quanto crudele che possa arrestare flussi migratori prodotti dalla ricerca di futuro e di prosperità a cui tutti abbiamo diritto. Ma il calcolo politico di questa destra cattiva, cialtrona è anche dannoso per l'equilibrio delle risorse economiche e demografiche di cui il nostro paese ha una vitale necessità.

Questo governo del nulla, privo di cultura, sputa controvento infangando la memoria dei trenta milioni di italiani che furono costretti all'emigrazione nell'arco di un secolo.

Quattro milioni di questi italiani furono clandestini, si! Clandestini!


di Moni Ovadia -Unità.it

Link

Immigrati: No al "carcere" per gli innocenti
Firma anche tu contro una legge ingiusta

Per FIRMARE L'APPELLO: CLICCA QUI 

domenica 10 luglio 2011

Quirra, la verità è sempre più vicina

E ora La Russa non può più dire che non vi sono connessioni dirette tra malattie tumorali e attività svolte nei poligoni militari, primo tra tutti il Pisq di Quirra.
Guardate il filmato e traete le vostre considerazioni. Aggiungo solo che sarebbe il momento di farla finita con le ipocrisie, gli insabbiamenti, le menzogne


rainews24.rai.it/

venerdì 1 luglio 2011

Quirra, un altro agnello deforme. Contaminazione radioattiva?

Un altro animale deforme. Un mostro nato e cresciuto nello stesso allevamento del Salto di Quirra in cui nel 2003 era nato un agnello a due teste. 

Il sospetto è che anche questo animale abbia subito alterazioni genetiche a causa di sostanze radioattive utilizzate negli anni nel poligono. Ieri gli uomini della Forestale di Lanusei hanno sequestrato l'animale, che - come i genitori - nel corso nel corso della sua esistenza ha pascolato nella zona di Ollistincu, nei pressi dell'area utilizzata per il brillamento delle munizioni e dei proiettili ormai inservibili arrivati a Quirra da tutta Italia.
fonte, L'Unione Sarda

link


Quirra, il pm ordina indagine su altre 156 morti sospette

 IMPATTO AMBIENTALE E SANITARIO DELLE BASI MILITARI IN ITALIA. IL CASO SARDEGNA:MADDALENA E QUIRRA.

giovedì 16 giugno 2011

Quirra, una nuova indagine: sotto sequestro dodici radar


Il procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, ha emesso un decreto di sequestro probatorio, per sei mesi, di 11 radar fissi più uno mobile all'interno del Poligono di Perdasdefogu-Salto di Quirra. Il provvedimento apre un nuovo filone nelle indagini avviate da mesi dal magistrato sulla possibile correlazione fra le attività svolte nella base e le morti di pastori, personale militare e le malformazioni di animali allevati nei pressi del poligono.

Quirra, una nuova indagine: sotto sequestro dodici radar
La decisione è scattata dopo le denunce di alcuni familiari di persone decedute dopo essersi ammalate e che hanno vissuto nei pressi degli impianti radar. Nei giorni scorsi durante alcuni accertamenti un ispettore di Polizia avrebbe appurato che era stata ridotta la potenza delle emissioni elettromagnetiche. Il decreto della Procura prevede anche ispezioni a strumenti legati ai radar. Fiordalisi ha quindi dato incarico al prof. Fiorenzo Marinelli, ricercatore del Cnr di Bologna, perché valuti la nocività delle onde emesse dagli impianti radar nel poligono sardo.
fonte:L'Unione Sarda
Aggiornamenti
"A seguito della notizia diramata della agenzie di stampa dell’avvenuto sequestro probatorio per sei mesi di una dozzina di postazioni radar militari fisse e di una mobile nel poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra il deputato radicale Maurizio Turco, cofondatore del Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm), ha depositato oggi una interrogazione al Ministro della difesa per chiedere chi e per quale motivo abbia ordinato ai militari di abbassare la potenza dei radar durante i controlli tecnici effettuati per rilevare il livello di emissione di onde elettromagnetiche e se non ritenga di dover riferire la Parlamento sulla situazione dei poligoni sardi e in particolare se l’attività di alterazione delle misurazioni in premessa sia connessa e conseguente alla emanazione del documento con cui lo Stato Maggiore della Difesa ha impartito le disposizioni relative al linguaggio della comunicazione che i militari devono adottare nei confronti dei media e richiamato nell’interrogazione n. 4-12303 o se essa non rappresenti una attività di depistaggio delle indagini della Procura."
fonte: Partito per la tutela dei Diritti di Militari e Forze di polizia (Pdm).
 

Quirra, spunta un nuovo mistero: mucca muore e scompare nel nulla

Una vittoria che viene da lontano


2-Riflessioni post elezioni e referendum

Tutto è cominciato poco più di un anno fa, quando la raccolta delle sottoscrizioni per i referendum sull'acqua come bene comune s'impennò fino a raggiungere il picco di un milione e quattrocentomila firme, record nella storia referendaria. Pochi si accorsero di quel che stava accadendo. Molti liquidarono quel fatto come una bizzarria di qualche professore e di uno di quei gruppi di "agitatori" che periodicamente compaiono sulla scena pubblica. O lo considerarono come un inciampo, un fastidio di cui bisognava liberarsi. Basta dare un'occhiata ai giornali di quei mesi.

E invece stava succedendo qualcosa di nuovo. Il travolgente successo nella raccolta delle firme era certamente il frutto di un lavoro da tempo cominciato da alcuni gruppi. In quel momento, però, incontrava una società che cambiava nel profondo, dove l'antipolitica cominciava a rovesciarsi in una rinnovata attenzione per la politica, per un'altra politica.

Ai referendum sull'acqua si affiancarono quelli sul nucleare e sul legittimo impedimento. Nasceva così un'altra agenda politica, alla quale, di nuovo, non veniva riservata l'attenzione necessaria. Mentre i referendari lavoravano per blindare giuridicamente i quesiti e farli dichiarare ammissibili dalla Corte costituzionale, le dinamiche sociali trovavano le loro strade, anzi le loro piazze. Si, le piazze, perché tra l'autunno e l'inverno questi sono stati i luoghi dove i cittadini hanno ritrovato la loro voce e la loro presenza collettiva.

Le donne, le ragazze e i ragazzi, i precari, i lavoratori, il mondo della scuola e della cultura hanno creato una lunga catena che univa luoghi diversi, che si distendeva nel tempo, che faceva crescere consenso sociale intorno a temi veri, nei quali si riconosceva un numero sempre maggiore di persone — il lavoro, la conoscenza, i beni comuni, i diritti fondamentali, la dignità di tutti, il rifiuto del mondo ridotto a merce.

Le piazze italiane prima di quelle che simboleggiano il cambiamento nel nord dell'Africa? Le reti sociali, Facebook e Twitter come motori delle mobilitazioni anche in Italia?
Proprio questo è avvenuto, segno evidente di un rinnovamento dei modi della politica che non può essere inteso con le categorie tradizionali, che sfida le oligarchie, che rende inservibile la discussione da talk show televisivo.

Forse è frettoloso parlare di un nuovo soggetto politico per una realtà frastagliata e mobile. Ma siamo sicuramente al di là di quei "ceti medi riflessivi" che segnarono un'altra stagione della società civile. Di fronte a noi sta un movimento che si dirama in tutta la società, prensile, capace di costruire una agenda politica e di imporla. Mentre tutto questo avveniva, le incomprensioni rimanevano tenaci. Patetici ci appaiono oggi i virtuosi appelli contro il "movimentiamo", provenienti anche da persone e ambienti dell'opposizione, che oggi dovrebbe riflettere seriamente sulla realtà rivelata dalle elezioni amministrative e dai referendum invece di insistere nella ricerca di categorie astratte — il centro, i moderati.

E se la maggioranza vuol cercare le radici della sua sconfitta, deve cercarle proprio nell'incapacità totale d'intendere il cambiamento, con un Presidente del consiglio che ci parlava di piazze piene di fannulloni, una ministra dell'Istruzione che non ha incontrato neppure uno studente, una maggioranza che pensava di domare il nuovo con la prepotente disinformazione del sistema televisivo.

Guardiamo alle novità, allora, e alle prospettive e ai problemi che abbiamo di fronte. Il voto di domenica e lunedì ha restituito agli italiani un istituto fondamentale della democrazia — il referendum, appunto. Ma ci dice anche che bisogna eliminare due anomalie che continuano a inquinarne il funzionamento. E indispensabile riscrivere la demagogica legge sul voto degli italiani all'estero, fonte di distorsioni, se non di vere e proprie manipolazione. E indispensabile ridurre almeno il quorum per la validità dei referendum.
Pensato come strumento per evitare che l'abrogazione delle leggi finisse nelle mani di minoranze non rappresentative, il quorum ha finito con il divenire il mezzo attraverso il quale si cerca di utilizzare l'astensione per negare il diritto dei cittadini di agire come "legislatore negativo".

Si svilisce così anche la virtù del referendum come promotore di discussione democratica su grandi questioni di interesse comune. Ma il punto cruciale è rappresentato dal fatto che ai cittadini è stato chiesto di esprimersi su temi veri, che liberano la politica dallo sguardo corto, dal brevissimo periodo, e la obbligano finalmente a fare i conti con il futuro, con una idea di società, con il rinnovamento delle stesse categorie culturali. Un'altra agenda politica, dunque, che dà evidenza all'importanza dei principi, al rapporto nuovo e diverso tra le persone e il mondo che le circonda, all'uso dei beni necessari a garantire i diritti fondamentali di ognuno.

La regressione culturale sembra arrestata, il risultati delle amministrative e dei referendum ci dicono che un'altra cultura politica è possibile.
Il voto sul nucleare non ipoteca negativamente il futuro dell'Italia. Al contrario, impone finalmente una seria discussione sul piano energetico, fino a ieri elusa proprio attraverso la cortina fumogena del ritorno alla costruzione di centrali nucleari.
Il voto sul legittimo impedimento ci parla di legalità edi eguaglianza, esattamente il contrario della pratica politica di questi anni, fondata sul privilegio e il rifiuto delle regole.
Il voto sull'acqua porta anche in Italia un tema che percorre l'intero mondo, quello dei beni comuni, e così parla di un'altra idea di "pubblico".
Proprio intorno a quest'ultimo referendum si è registrato il massimo di disinformazione e di malafede. Si è ignorato quel che da decenni la cultura giuridica e quella economica mettono in evidenza, e cioè che la qualificazione di un bene come pubblico o privato non dipende dall'etichetta che gli viene appiccicata, ma da chi esercita il vero potere di gestione. Si sono imbrogliate le carte per quanto riguarda la gestione economica del bene, identificandola con il profitto. Si sono ignorate le dinamiche del controllo diffuso, garanzia contro pratiche clientelari, che possono essere sventate proprio dalla presenza dei nuovi soggetti collettivi emersi in questa fase.

Quell'agenda politica deve ora essere attuata ed integrata. E tempo di mettere mano ad una radicale riforma dei beni pubblici, per la quale già esistono in Parlamento proposte di legge. E bisogna guardare ad altre piazze. Quelle che affrontano il tema del lavoro partendo dal reddito universale di base. Quelle che ricordano che le persone omosessuali attendono almeno il riconoscimento delle loro unioni un diritto fondamentale affermato nel 2009 dalla Corte costituzionale e che un Parlamento distratto e inadempiente non ha ancora tradotto in legge, com'è suo dovere.

La fuga dai referendum non è riuscita. Guai se, dopo un risultato così straordinario, qualcuno pensasse ad una fuga dai compiti e dalle responsabilità che milioni di elettori hanno indicato con assoluta chiarezza.

di Stefano Rodotà

mercoledì 15 giugno 2011

L'irruzione del futuro

Analisi e riflessioni post elezioniFORSE, dopo la perdita di Milano e Napoli, la sconfitta al referendum è la più avvilente nella storia di Berlusconi. Si era messo in testa che ignorandolo l'avrebbe ucciso, l'aveva definito "inutile", e il giorno del voto se n'era andato pure al mare, esemplarmente. Niente da fare: il quorum raggiunto e i quattro sì che trionfano non sono solo un colpo inferto alla guida del governo.

È una filosofia politica a franare, come la terra che d'improvviso si stacca dalla montagna e scivola. È un castello di parole, di chimere coltivate con perizia per anni. "Meno male che Silvio c'è", cantavano gli spot che il premier proiettava, squisita primizia, nei festini. Gli italiani non ci credono più, il mito sbrocca: sembra l'epilogo atroce dell'Invenzione di Morel, la realtà-non realtà di Bioy Casares. Per il berlusconismo, è qualcosa come un disastro climatico.

Tante cose precipitano, nel Paese che credeva di conoscere e che invece era un suo gioco di ombre: l'idea del popolo sovrano che unge la corona, e ungendola la sottrae alla legge. L'idea che il cittadino sia solo un consumatore, che ogni tanto sceglie i governi e poi per anni se ne sta muto davanti alla scatola tonta della tv. L'idea che non esistano beni pubblici ma solo privati: il calore dell'aria, l'acqua da bere, la legge uguale per tutti, la politica stessa. L'idea, più fondamentale ancora, che perfino il tempo appartenga al capo, e che un intero Paese sia schiavo 
del presente senza pensare - seriamente, drammaticamente - al futuro. Più che idee, erano assiomi: verità astratte, non messe alla prova. Non avendo ottenuto prove, il popolo è uscito dai dogmi. Lo ha fatto da solo, senza molto leggere i giornali, gettando le proprie rabbie in rete. È una lezione per i politici, i partiti, i giornali, la tv. La fiamma del voto riduce una classe dirigente a mucchietto di cenere.

Pochi hanno visto quello che accadeva: il futuro che d'un tratto irrompe, la stoffa di cui è fatto il tempo lungo che gli italiani hanno cominciato a valutare. Erano abituati, gli elettori, a non votare più ai referendum. Questa volta sono accorsi in massa: a tal punto si sentono inascoltati, mal rappresentati, mal filmati. Nessuna canzoncina incantatrice li ha immobilizzati al punto di spegnerli. Berlusconi lo presentiva forse, dopo Milano e Napoli, ma come un automa è caduto nella trappola in cui cadde Craxi nel 1991 - andare al mare mentre si vota è un rozzo remake - e con le sue mani ha certificato la propria insignificanza. Impreparato, è stato sordo all'immenso interrogativo che gli elettori di domenica gli rivolgevano: se la sovranità del popolo è così cruciale come proclama da anni, se addirittura prevale sulla legge, la Costituzione, come mai il Cavaliere ha mostrato di temere tanto il referendum? Come spiegare la dismisura della contraddizione, che oggi lo punisce?

Il popolo incensato da Berlusconi, usato come scudo per proteggere i suoi interessi di manager privato, non è quello che si è espresso nelle urne. È quello, immaginario, che lui si proiettava sui suoi schermi casalinghi: un popolo divoratore di show, ammaliato dal successo del leader. Chi ha visto Videocracy ricorderà la radice oscena della seduzione, e le parole di Fabrizio Corona: "Io sono Robin Hood. Solo che tolgo ai ricchi, e dò a me stesso". Nel popolo azzurro la libertà è regina, ma è tutta al negativo: non è padronanza di sé ma libertà da ogni interferenza, ogni contropotere. Ha come fondamento la disumanizzazione di chiunque si opponga, di chiunque incarni un contropotere. Di volta in volta sono "antropologicamente diversi" i magistrati, i giornalisti indipendenti, la Consulta, il Quirinale. Ora è antropologicamente diverso anche il popolo elettore, a meno di non disfarsi di lui come Brecht consigliò al potere senza più consensi. Era un Golem, il popolo - idolo d'argilla che il demiurgo esibiva come proprio manufatto - e il Golem osa vivere di vita propria. Il premier lo aveva messo davanti allo sfarfallio di teleschermi che le nuove generazioni guardano appena, perché la scatola tonta ti connette col nulla. E quando ti connette con qualcuno - Santoro, Fazio, Saviano - ecco che questo qualcuno vien chiamato "micidiale" e fatto fuori.

Il popolo magari si ricrederà, ma per il momento ha abolito il Truman Show. Ha deciso di occuparsi lui dei beni pubblici, visto che il governo non ne ha cura. Non sa che farsene del partito dell'amore, perché nella crisi che traversa non chiede amore ai politici ma rispetto, non chiede miraggi ottimisti ma verità. Accampa diritti, ma non si limita a questo. Pensare il bene pubblico in tempi di precarietà e disoccupazione vuol dire scoprire il dovere, la responsabilità. Celentano lunedì sera ha detto che siamo disposti perfino ad avere un po' più freddo, in attesa di energie alternative al nucleare. Per questo si sfalda il dispositivo centrale del berlusconismo: la libertà da ogni vincolo è distruttiva per l'insieme della comunità. Era ammaliante, ma lo si è visto: perché simile libertà cresca, è indispensabile che il popolo sia tenuto ai margini della res publica.
Specialmente nei referendum, dove si vota non per i partiti ma per le politiche che essi faranno, il popolo prende in mano i tempi lunghi cui il governo non pensa, e gli rivolge la domanda cruciale: è al servizio del futuro, un presidente del Consiglio che ha paura dell'informazione indipendente, che ha paura di dover rispondere in tribunale, che elude la crisi iniziata nel 2007, che non medita la catastrofe di Fukushima e considera il no al nucleare un'effimera emozione? Pensa al domani o piuttosto a se stesso, chi sprezza la legalità pur di favorire piccole oligarchie, il cui interesse per le generazioni a venire è nullo? Ai referendum come nelle amministrative il tempo è tornato a essere lungo. Non a caso tanti dicono: si ricomincia a respirare.

La crisi ha insegnato anche questo: non è vero che il privato sia meglio del pubblico, che il mercato coi suoi spiriti animali s'aggiusti da sé, che la politica privatizzata sia la via. I privati non sono in grado di costruire strade, ferrovie, energia pulita per i nipoti. Vogliono profitti subito e a basso costo, senza badare alla qualità e alla durata. Berlusconi si presentò come il Nuovo ed era invece custode di un disordine naufragato nel 2007. Non era Roosevelt o Eisenhower, non ha edificato infrastrutture per le generazioni che verranno.

Ogni persona, dice Deleuze, è un "piccolo pacchetto di potere", e l'etica la costruisce su tale potere. Berlusconi pensava - forse pensa ancora - che questo potere fosse suo: che non fosse così diffuso in pacchetti. Pensava che il cittadino non avesse bisogno di verità; che il coraggio te lo dai nascondendola. Pensava (pensa) che il coraggio consista nel ridurre le tasse, e chi se ne importa se l'Italia precipita come la Grecia o se pagheranno i nipoti. Pensava che, bocciato il legittimo impedimento, puoi farti una prescrizione breve, come se il popolo non avesse proscritto ogni legge ad personam. Il Cavaliere ha eredi nel Pdl. Ma all'eredità come bene consegnato al futuro non ha mai badato, convinto che la crisi sia come la morte (e lui come la vita) per Epicuro: "Finché Silvio c'è, la crisi non esiste. Quando la crisi arriva, Silvio non c'è". Tanti ne sono convinti, e lo incitano a "tornare allo spirito del '94": dunque a mentire sulle tasse, di nuovo.

Chi lo incita sa quello che dice? Ha un'idea di quel che è successo fra il 1994 e il 2011? Rifare il '94 non è da servi liberi, ma da gente che ignora il mondo e ne inventa di falsi. Se fossero liberi e coraggiosi non sarebbero stupidi al punto di consigliare follie. Se insistono, vuol dire che sono servi soltanto. La loro retorica è così smisurata che neppure capiscono la nemesi, che s'è abbattuta sul loro padrone.

di Barbara Spinelli

venerdì 10 giugno 2011

Poligoni sardi, distribuito ai militari manuale per “parlare con i media”

Ecco il manuale di controinformazione dello Stato Maggiore per rendere credibili le istituzioni
Altro che trasparenza, sembra il copione di una piece del teatro dell'assurdo.

L’importante è controinformare: non fa nulla se un cittadino muore o un soldato si ammala. Per agevolare il lavoro di disinformazione, il ministero della Difesa ha inviato nelle caserme interessate un piano di “norme e di linguaggio” per i militari che operano nei poligoni di tiro della Sardegna.

Il “Piano di Comunicazione”, predisposto dallo Stato Maggiore è un vademecum, una sorta di bignamino delle veline che gli interessati devono attivare quando i media tentano di indagare sulle attività addestrative e di sperimentazione svolte dalle forze armate italiane e straniere presso i poligoni di Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra “con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela dell’ambiente e della salute”.


Gli argomenti posti al bando sono scottanti: in particolare il documento suggerisce di non dare troppi chiarimenti sull’uso di uranio impoverito e sugli effetti delle “nano particelle”. Inoltre, consiglia di non dare spiegazioni sul nesso di causalità esistente tra le sostanze 'sparate' nel poligono e le malattie genetiche e le leucemie riscontrate tra le popolazioni locali e nel personale militare.

Sempre secondo il prontuario, non devono essere enfatizzati i casi di malattia riscontrati fra il bestiame della zona. E ancora, si deve evitare come la peste di parlare dell’inquinamento “elettromagnetico generato dai radar per la guida dei missili e per il controllo delle attività dei poligoni”. Top secret anche le indagini ambientali svolte su input della Difesa.

 

Ai militari è stato inoltre imposto il compito di non dare risalto alla ”indagine anamnestica svolta” nell’area di Quirra dai veterinari dell’ Asl di Cagliari Giorgio Melis e Sandro Lorrai.

Secchiate d'acqua devono essere versate sull'indagine ordinata dalla Procura della Repubblica di Lanusei: secondo lo Stato Maggiore, "potrebbe minare la credibilità dell’istituzione militare” e la “corretta percezione dell’opinione pubblica” sulla veridicità dell’indagine ambientale promossa dal ministero della Difesa nel 2008 per fare “piena chiarezza sulla situazione”.

In definitiva, si è chiesto ai militari di innalzare
una cortina di ferro per salvaguardare la “fattibilità delle attività addestramento e di sperimentazione condotte all’interno del Poligono, per fini istituzionali, da parte degli operatori industriali di ricerca e sperimentazione”.

Le parole d'ordine: "Minimizzare e neutralizzare gli effetti di una comunicazione non supportata da dati oggettivi”; ridurre ai minimi termini “il danno d’immagine” per l’amministrazione e per l’esercito; difendere “il valore delle risultanze delle indagini ambientali” commissionate dalla Difesa.

Per ottenere questi risultati la circolare consiglia di “definire una strategia di comunicazione unitaria” e di designare “figure di riferimento nell’ambito della difesa” e di affiancarli di volta in volta esperti in materia di sanità, armamenti e balistica in gradi di “supportare, confutare, a livello scientifico le tesi riportate dagli organi di stampa”.
Il quadro è agghiacciante: perché non si tiene conto, in alcun modo, della salute degli abitanti, né di quella dei militari.

Ogni comandante, ogni ufficio stampa dell’Esercito deve utilizzare “messaggi chiave”. Qualche ritaglio: “Il ministero della Difesa ha a cuore il benessere del proprio personale e dei civili”; la Difesa ha sempre garantito “indagini ambientali serie, approfondite, trasparenti”; il ministero della Difesa garantisce “grande attenzione alle norme ambientali”; le forze armate “non hanno mai usato o stoccato uranio impoverito al poligono”.

Uno dei piatti forti delle “
norme di linguaggio” imposte dalla Difesa è il comunicato stampa del 27 febbraio 2011 che ha per oggetto le indagini di Lanusei: “In merito a quanto apparso sugli organi di stampa ... è opportuno e doveroso” che i militari sostengano la tesi secondo la quale “tra il materiale finora rinvenuto nel corso delle ispezioni disposte dal magistrato inquirente non figura alcun munizionamento all’uranio impoverito. Si tratta bensì di componenti elettronici per usi industriali (civili e militari) ”.

La mission ha avuto successo: tutti i mass media che si sono occupati delle indagini di Lanusei hanno riportato tutti le stesse parole. Lo Stato Maggiore ha così centrato il suo obiettivo di “ridurre il livello di apprensione ingeneratesi nella collettività … minimizzare/neutralizzare i danni d’immagine per l’Amministrazione della Difesa e le F.A. da notizie non supportate da dati oggettivi”.
Il tutto per la tutela d’informazioni di “carattere classificato”. “Disinformatia”. I pastori hanno lasciato i pascoli di Quirra.

fonte Tiscali notizie

link
Nessuna proroga per lo sgombero degli allevamenti dal Poligono di Perdasdefogu-Salto di Quirra. Il Tribunale di Lanusei ha dato il via alle operazioni. Dura la reazione di Coldiretti.
guarda video

Rapporto annuale sulla violazione dei diritti sul lavoro

Morti e violenze. E' questo il drammatico bilancio

L’analisi annuale del Sindacato Internazionale (ITUC) traccia un quadro sulla condizione di milioni di persone. La repressione più forte in America Latina. In Colombia il primato degli omicidi. Situazioni drammatiche anche in Bangladesh, Pakistan, Filippine, Uganda e Swaziland.
Noam Chomsk: è in atto un’opera di desindacalizzazione, flessibilizzazione e deregolamentazione nei paesi poveri, ma anche industrializzati

È un vero e proprio bollettino di guerra il rapporto annuale del sindacato internazionale ITUC  sulle violazioni dei diritti del lavoro: nel 2010 sono stati uccisi 90 sindacalisti, almeno 2.500 sono stati arrestati e almeno 5 mila “semplicemente” licenziati.
“In tutto il mondo ci sono lavoratori e cittadini che tentano di rivendicare i diritti elementari a un lavoro dignitoso e a una vita dignitosa, ma in molti paesi queste persone trovano solo violenza e repressione da parte dei governi e delle imprese, fino ai casi estremi degli omicidi”, commenta la segretaria generale Sharan Burrow.

Sindacalisti sotto tiro. La repressione più forte continua a essere registrata in America Latina, dove la Colombia detiene il primato degli omicidi, con 49 casi. Dieci morti anche in Guatemala e altri in Brasile, a El Salvador, in Honduras. L’altra metà è distribuita tra Bangladesh, Pakistan e Filippine, in Asia, e Swaziland e Uganda in Africa. Importante anche il caso dell’Iran, dove il rappresentante degli insegnanti è stato impiccato dopo un processo sommario, nonostante le proteste popolari e le pressioni internazionali. L’unica nota positiva riguardo all’Iran è il rilascio – solo qualche giorno fa – di Mansoor Onsanloo, in carcere da cinque anni per avere avviato uno sciopero dei trasporti a Teheran. Le minacce di morte e le intimidazioni sono molto diffuse anche in altri paesi: dalle dittature evidenti, come la Bielorussia, lo Zimbabwe e la Birmania, alle democrazie apparenti, come la Russia, il Messico e la Nigeria. I due diritti fondamentali del lavoro, ovvero la libertà sindacale e la contrattazione collettiva, sono ancora molto limitati per legge nei paesi emergenti come la Cina o in quelli più ricchi, nell’area mediorientale e del Golfo.
L’attacco globale al lavoro. Un mese fa, a margine della festa del primo maggio, Noam Chomsky aveva scritto che ci troviamo di fronte a un “attacco internazionale al lavoro”. Secondo il linguista americano è in atto un’opera di desindacalizzazione, flessibilizzazione e deregolamentazione mirata a creare insicurezza e condizioni di vita precaria, non solo nei paesi in via di sviluppo ed emergenti, ma anche nei paesi industrializzati. Il rapporto del sindacato internazionale sembra confermare questa teoria. A tre anni dalla crisi finanziaria ed economica che ha creato oltre 30 milioni di disoccupati, sembra esserci stata un’ulteriore erosione dei diritti del lavoro nell’ultimo anno. Secondo l’ITUC, infatti, “ai grandi poteri finanziari ed economici è stato permesso di dominare le politiche dei governi mentre disoccupazione, povertà e insicurezza sociale continuano a crescere”.
Più colpiti i migranti, le donne e i giovani. Ci sono alcune tendenze globali precise che la ricerca mette in evidenza: la scelta di molti governi di ignorare le norme fondamentali a tutela del lavoro; la mancanza di sostegno finanziario alle ispezioni e agli strumenti di tutela sociale; la mancanza di diritti e l’abuso sui lavoratori immigrati, in modo particolare nei paesi del Golfo Persico; lo sfruttamento della forza lavoro, prevalentemente femminile, nelle zone franche per l’esportazione. Senza parlare della crescente disoccupazione giovanile, non contrastata da politiche adeguate né da ammortizzatori sociali, ma solo da azioni repressive che ovunque scatenano ulteriori rivolte, come bene dimostrano i fatti del Nord Africa e del Medio Oriente. Il sindacato dedica una parte del rapporto al mondo arabo, denunciando la brutalità con cui i governi hanno risposto alla domanda di giustizia sociale e di democrazia, dall’Egitto alla Tunisia, al Bahrain.
I diritti e lo sviluppo. D’altra parte, per decenni molti governi e alcune istituzioni economiche internazionali hanno scelto di perseguire politiche liberiste con forti accenti antisindacali, nella convinzione che una solida regolamentazione del mercato del lavoro e l’attività dei sindacati indipendenti fosse un ostacolo allo sviluppo e una minaccia alla crescita. Al contrario, secondo le norme internazionali del lavoro, la libertà di associazione e la contrattazione collettiva sono fattori determinanti per uno sviluppo che si possa definire socialmente sostenibile. È soprattutto attraverso la contrattazione che si interviene sui redditi, si legano i salari alla crescita di produttività, si estendono le tutele sociali. Tutto questo serve ad alimentare la domanda interna, il consumo, e perciò favorisce l’economia nel suo complesso. Ma soprattutto favorisce la redistribuzione della ricchezza, unico vero modo di assicurare la stabilità politica e la coesione sociale.
fonte Solleviamoci’s Weblog

mercoledì 8 giugno 2011

Ecomafia 2011: le storie e i numeri della criminalità ambientale

30.824 illeciti ambientali accertati nel 2010, 84 al giorno, 3,5 ogni ora. 19,3 miliardi di euro di fatturato, 2 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi sequestrati, 26.500 nuovi immobili abusivi stimati, 290 i clan coinvolti. Questi solo alcuni dei numeri contenuti nel dossier di Legambiente Ecomafia 2011. In testa alla classifica dell'illegalità è ancora la Campania seguita da Calabria, Sicilia e Puglia ma crescono fortemente gli illeciti in Lombardia.


1.117 chilometri. Più o meno da Reggio Calabria a Milano. Questa la lunga strada che 82.181 tir carichi di rifiuti potrebbero coprire. Una interminabile autocolonna 'immaginata' sommando i quantitativi di rifiuti (2 milioni di tonnellate) sequestrati solo in 12 delle 29 inchieste per traffico illecito di rifiuti messe a segno dalle forze dell’ordine nel corso del 2010. Una strada impressionante eppure ancora sottostimata, perché i quantitativi sequestrati sono disponibili per meno della metà delle inchieste ma anche perché, com’è noto, viene normalmente individuata solo una parte delle merci trafficate illegalmente.
540 campi da calcio, invece, possono rendere l’idea del suolo consumato nel 2010 dall’edilizia abusiva, con 26.500 nuovi immobili stimati. Una vera e propria cittadina illegale, con 18.000 abitazioni costruite ex novo e la cementificazione di circa 540 ettari.
Bastano questi semplici esempi a illustrare la gravità del saccheggio del territorio descritto e analizzato nel rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente, presentato ieri a Roma, presso la sede del Cnel, durante una conferenza stampa che ha visto la partecipazione di Antonio Marzano (Presidente CNEL), Vittorio Cogliati Dezza (Presidente nazionale Legambiente), Enrico Fontana (Responsabile Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità - Legambiente), Alfredo Mantovano (Sottosegretario Ministero Interno), Fabio Granata (Vice Presidente Commissione Antimafia), Marcello Tocco (Coordinatore osservatorio socio-economico sulla criminalità – CNEL), Alessandro Bratti (Comm. Bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti), Paolo Russo (Presidente Comm. Agricoltura Camera dei Deputati), Roberto Della Seta (Comm. Ambiente, Senato), Cristiana Coppola (Vice Presidente Mezzogiorno Confindustria), Francesco Ferrante (Comm. Ambiente, Senato), Luca Palamara (Presidente Ass. Nazionale Magistrati).
Sono 290 i clan ben impegnati nel business dell’ecomafia censiti nel rapporto, 20 in più rispetto al 2009; 19,3 miliardi di euro invece è il giro d’affari stimato per il solo 2010. Nel complesso, la Campania continua a occupare il primo posto nella classifica dell’illegalità ambientale, con 3.849 illeciti, pari al 12,5% del totale nazionale, 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri, seguita dalle altre regioni a tradizionale presenza mafiosa: nell’ordine Calabria, Sicilia e Puglia, dove si consuma circa il 45% dei reati ambientali denunciati dalle forze dell’ordine nel 2010. Un dato significativo ma in costante flessione rispetto agli anni precedenti, in virtù della crescita, parallela, dei reati in altre aree geografiche. Si segnala, in particolare, quella nord Occidentale, che si attesta al 12% a causa del forte incremento degli illeciti accertati in Lombardia.

colletti bianchi
Il business dell'ecomafia si propaga e si rafforza anche grazie al coinvolgimento dei cosiddetti 'colletti bianchi'
“Come un virus, con diverse modalità di trasmissione e una micidiale capacità di contagio. Questa l’immagine dell’ecomafia che emerge dal rapporto 2001 – ha dichiarato Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio Ambiente e legalità dell’associazione -. Un virus che avvelena l’ambiente, inquina l’economia, mette in pericolo la salute delle persone; che ha un sistema genetico locale e una straordinaria capacità di connessione su scala globale: può nascere, infatti, in provincia di Caserta o di Reggio Calabria e riprodursi a Milano, entrare in simbiosi con altre cellule in altre città europee, saldare il suo Dna con ceppi lontani, fino a Hong Kong.
I fenomeni di criminalità ambientale continuano a diffondersi senza incontrare adeguate resistenze, determinando impressionanti sottrazioni di risorse naturali e gravi distorsioni dell’economia, con significativi contraccolpi sulle possibilità di crescita per le imprese virtuose. Eppure, nonostante i ripetuti allarmi, poco o nulla è stato fatto sul versante della prevenzione e degli strumenti indispensabili per prosciugare il 'brodo di cultura' del virus eco mafioso, che così continua a diffondersi e moltiplicarsi approfittando di gravi sottovalutazioni, molte complicità e troppi silenzi”.
“Numerose indagini e i rapporti sull’ecomafia finora realizzati dimostrano che il business dell’ecomafia, con la sua capacità pervasiva e la possibilità di occupare stabilmente posti chiave dell’economia, si propaga e si rafforza anche grazie al coinvolgimento dei cosiddetti colletti bianchi (impiegati e quadri in ruoli chiave delle amministrazioni) e alle infiltrazioni nell’imprenditoria legale – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Fenomeno che si aggrava notevolmente nelle fasi di crisi economica e di scarsità finanziaria e che rende difficoltoso la svolgimento delle indagini e la ricerca delle responsabilità che si perdono in un percorso travagliato tra legalità e malaffare. Per porre rimedio a questa situazione, avevamo atteso con ansia il decreto col quale il governo deve recepire la Direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, inserendo finalmente i delitti ambientali nel Codice Penale. Purtroppo, ad oggi, lo schema approvato rappresenta una vera e propria ‘occasione mancata’.
Si rimane, infatti, nel solco delle fattispecie contravvenzionali, senza riuscire a individuare i delitti, con l’effetto di continuare a fornire alle forze che devono indagare e reprimere armi spuntate: nessuna possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali, impossibilità delle rogatorie internazionali, tempi brevissimi di prescrizione”.

rifiuti
Le forze dell’ordine hanno accertato circa 6.000 illeciti relativi al ciclo dei rifiuti (circa 1 reato ogni 90 minuti)
Gli illeciti accertati sono stati 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto 2009: più di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. I reati relativi al ciclo illegale di rifiuti (dalle discariche ai traffici illeciti) e a quello del cemento (dalle cave all’abusivismo edilizio) rappresentano da soli il 41% sul totale, seguiti dai reati contro la fauna, (19%), dagli incendi dolosi (16%), da quelli nella filiera agroalimentare (15%), mentre tutti le altre tipologie di violazioni non superano complessivamente il 6% degli illeciti accertati.
Dietro questi numeri c’è l’impegno, costante, di tutte le forze dell’ordine: il lavoro svolto in generale dal Corpo forestale dello Stato e da quelli delle regioni a statuto speciale, soprattutto per quanto riguarda il ciclo illegale del cemento; l’attività d’indagine sviluppata dal Comando tutela ambiente dell’Arma dei carabinieri in particolare per quanto riguarda i traffici illegali di rifiuti; l’incremento dei reati denunciati dalle Capitanerie di porto, quasi raddoppiati rispetto al 2009; l’azione della Guardia di finanza per i reati economici in campo ambientale; quella in crescita, così come i risultati, dell’Agenzia delle Dogane e in particolare dell’Ufficio antifrode contro i traffici internazionali di rifiuti e di specie protette; l’attenzione crescente della Polizia di Stato e quella diffusa sul territorio delle diverse Polizie provinciali.
Attività a cui si deve aggiungere il lavoro svolto, come sempre, dal Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale e il contributo specifico, che pubblichiamo anche quest’anno, della Direzione investigativa antimafia, impegnata in particolare nell’analisi dei fenomeni d’infiltrazione dei clan nel ciclo dei rifiuti.
Il 2010 è un anno da record per le inchieste sull’unico delitto ambientale, quello contro i professionisti del traffico illecito di veleni (art. 260 Dlgs 152/06): sono state ben 29, con l’arresto di 61 persone e la denuncia di 597 e il coinvolgimento di 76 aziende. Altre 6 inchieste di questo tipo si sono svolte nei primi quattro mesi del 2011, mentre in totale – cioè dalla sua entrata in vigore nel 2002 a oggi – sono salite a quota 183. Il fenomeno si è oramai allargato a tutto il paese, consolidandosi in strutture operative flessibili e modulari, in grado di muovere agevolmente tonnellate di veleni da un punto all’altro dello stivale.
I numeri e i dati relativi alle attività d’indagine svolte sui traffici illeciti non esauriscono l’azione di contrasto dei fenomeni di smaltimento illegale. Sempre nel corso del 2010, le forze dell’ordine hanno accertato circa 6.000 illeciti relativi al ciclo dei rifiuti (circa 1 reato ogni 90 minuti). La classifica a livello nazionale è guidata, anche in questo caso, dalle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (nell’ordine Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), ma cresce anche il numero di reati accertati nel Lazio e in Lombardia.
E dove ci sono rifiuti c’è sempre qualcuno che ha la sua ricetta facile di smaltimento, illegale, ovviamente. Da Ascoli Piceno a Montenero di Bisaccia, da Brescia a Reggio Emilia, da Palermo a Cuneo, da Chieri a Teramo, il copione svelato dagli investigatori è sempre lo stesso. Si fanno carte false e si spediscono lungo le rotte illegali, che possono anche essere marine e spingersi fino in Cina. Dai porti di Venezia, Napoli, Gioia Tauro, Genova ma anche Cagliari, dove i carabinieri la scorsa estate hanno scoperto una organizzazione che spediva carichi di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee) verso Cina, Malesia, Pakistan, Nigeria, Congo.


540 campi da calcio possono rendere l’idea del suolo consumato nel 2010 dall'edilizia abusiva

L’Agenzia delle Dogane ha inoltrato alle autorità competenti più di 100 notizie di reato per traffico internazionale di rifiuti (art. 259 Dlgs 152/06) e sequestrato nei porti italiani ben 11.400 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, il 54% in più rispetto al 2009. Il 60% di questi diretti in Cina, il 12% in Corea del Sud, il 10% in India, il 4% in Malesia e così via.

Per quanto riguarda il ciclo del cemento, nel 2010 sono stati accertati 6.922 illeciti, con 9.290 persone denunciate, più di una ogni ora. La Calabria è la prima regione come numero d’infrazioni (945) seguita dalla Campania, dove si registra il maggior numero di persone denunciate (1.586) e dal Lazio. Secondo le stime del Cresme, nel 2010 sono stati 26.500 i casi gravi di abusivismo, tra nuove costruzioni (18.000), ampliamenti e cambiamenti di destinazioni d’uso. E, come se non bastasse, si continua a costruire abusivamente e fuori controllo in un territorio ad alto rischio idrogeologico.
Sempre la Calabria, regione con il 100% dei comuni interessati da aree a rischio idrogeologico solcata da torrenti e fiumare, nulla ferma l’avanzata del cemento abusivo. Lungo la costa è accertato un abuso ogni 100 metri, 5.210 in tutta la Regione e 2.000 nella sola Provincia di Reggio Calabria. La Campania dal 1950 al 2008 è stata fra le regioni più colpite da eventi franosi, piangendo anche 431 vittime, e da inondazioni con 211 vittime (Fonte: Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche Cnr-Irpi). Ebbene, in un così fragile territorio in soli dieci anni sono state realizzate 60.000 case abusive, 6.000 ogni anno, 16 al giorno.
Anche le frodi alimentari sono state al centro dell’intenso lavoro di tutte le forze dell’ordine, in particolare del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute e del Nucleo Agroalimentare e Forestale del Corpo forestale dello Stato. Nel 2010 sono state 4.520 le infrazioni accertate nel settore, 2.557 le denunce e 47 gli arresti; mentre il valore dei sequestri ha raggiunto una cifra che supera i 756 milioni di euro. Il maggior numero di reati è stato riscontrato nel settore delle carni e allevamenti (1.244), della ristorazione (1.095) e dei prodotti alimentari vari. Le strutture chiuse e sequestrate sono state 1.323 con il sequestro di quasi 24 milioni di chili/litri di merci. Secondo la Cia il fatturato si aggira intorno ai 7,5 miliardi di euro.
In questo rapporto viene stimato, dal Comando carabinieri tutela patrimonio culturale, anche il business dell’arte rubata: il valore di opere e reperti recuperati ammonta, solo nel 2010, a più di 216 milioni di euro. In leggera flessione il numero di furti (983, l’anno prima erano stati 1.093), quasi 3 al giorno, ma cresce in maniera esponenziale il numero di oggetti trafugati: 20.320 lo scorso anno, erano 13.219 nel 2009. Nel totale ci sono state 1.237 persone indagate e 52 arresti. Da segnalare anche i furti nel settore dei libri, documenti antichi e beni archivistici di rilevante interesse storico-culturale, a danno di istituti, enti e biblioteche pubbliche e private dove spesso gli ammanchi sono ignorati a causa della incompleta catalogazione dei testi, della estrema facilità di trasporto e parcellizzazione dei beni sottratti. Nel 2010 il numero di documenti e libri denunciati come sottratti è stato nettamente superiore a quello registrato nel 2009 (11.712 a fronte di 3.713). Da sottolineare gli ottimi risultati investigativi in fatto di recupero di oggetti d’arte: nel 2010 la cifra sale a quota 84.869, dei quali 79.260 provenienti direttamente da furti.
Sempre nell’ultimo anno le forze dell’ordine hanno accertato 5.835 reati commessi contro la fauna, quasi 16 al giorno: +13,2% rispetto al 2009 per un business che ogni anno si aggira intorno ai 3 miliardi di euro ed è sempre più globalizzato. Secondo il Corpo Forestale dello Stato, la stragrande maggioranza degli accertamenti, oltre 39.000, è avvenuta in ambito doganale a causa dell’espansione globale dei mercati orientali (a partire da quello cinese) con un volume d’affari di specie animali e vegetali e di prodotti lavorati che supera ormai, a livello mondiale, i 100 miliardi di euro all’anno.
A concludere affari con l’ecomafia è spesso un vero e proprio esercito di colletti bianchi e imprenditori collusi. Ampia disponibilità di denaro liquido da una parte, competenze professionali e società di copertura dall’altra hanno trovato nel business ambientale una perfetta quadratura. I ‘Sistemi criminali’ (dalla definizione del magistrato Roberto Scarpinato) sono la sintesi migliore per capire l’ecomafia di oggi. I ‘Sistemi criminali’, sono network illegali complessi dei quali fanno parte soggetti appartenenti a mondi diversi: politici, imprenditori, professionisti, mafiosi tradizionali.
Il ‘sistema nervoso’ che mette in comunicazione tra loro tutti i soggetti è costituito dai cosiddetti colletti bianchi, persone con un curriculum di rispettabilità, sociale ed economica. Senza il loro concorso, molti affari illegali non si potrebbero neppure immaginare. È in questo ‘Sistema’ che il virus si modifica, cambia strategia di diffusione, cerca di diventare invisibile agli anticorpi.
di Legambiente