Mi sembra utile riproporre qui la risposta apparsa su L'Unità a firma Michele Prospero. Come al solito lascio a voi srotolare il filo della discussione..
Un saluto
Vladimir
Da Berlinguer a Casini, perché in
Italia il 51 per cento non basta mai
Con l’intervista apparsa sul
Corriere del 4-11-11, il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini rilancia
una antica questione, quella della impossibilità di governare una
democrazia difficile con solo il 51 per cento dei voti. Fu Berlinguer,
ormai quarant’anni fa, a gettare un’ombra di pessimismo sulla
possibilità di far convivere una idea di transizione verso una società
diversa con il principio di maggioranze numericamente risicate.Il fatto è che nella vecchia Europa si riscontra un bipolarismo organico, cioè radicato profondamente nelle culture, nei soggetti e nelle convenzioni istituzionali. In Italia s’incrocia invece un bipolarismo solo meccanico, indotto cioè da meri ingranaggi coercitivi (come gli incentivi forniti dai premi maggioritari). Nessuna delle coalizioni vincenti nella seconda repubblica peraltro ha mai ottenuto il 51 per cento dei voti. Se a questo deficit di consenso si aggiunge pure che nelle ultime regionali circa il 40 per cento degli elettori o si è astenuto o ha votato scheda bianca e nulla, si percepisce tutta la precarietà delle basi di sostegno del sistema politico. Questa difficoltà reale nel funzionamento di un regime politico minato nel suo consenso sociale in Casini si tramuta anche in una impossibilità teorica di consolidare un bipolarismo più maturo che rivendichi in pieno l’attitudine a decidere senza evocare le supplenze di forti oligarchie sempre in agguato.
Il problema centrale di oggi non è di appurare se l’evoluzione della crisi richiederà governi tecnici, di emergenza o grandi coalizioni. In fondo, questi sono dettagli che dipenderanno da fattori al momento imponderabili. Il nodo è piuttosto quello di ridefinire uno spazio della politica in un mondo che abitualmente, così fa spesso il Corriere, contrappone le esigenze tecniche del mercato competitivo ai riti stanchi della democrazia elettorale o “della spesa”, oppure insegue, sulla scia di Repubblica, un qualche condottiero con un dono carismatico. Casini, giustamente, fa piazza pulita delle aspettative miracolistiche riposte in un qualche «improvvisato salvatore» e rivendica con forza il ruolo della politica, della analisi, della scelta controversa. Questo spazio autorevole riservato alla politica in un paese ormai sotto vigilanza però richiederebbe oggi una più chiara prevalenza della prospettiva strategica rispetto alla abilità di manovra, che certo non va accantonata.
Quando Casini sostiene che dopo il voto il terzo polo dovrà «costringere il vincitore a venire a patti» si comporta da novello partito corsaro che opera ai fianchi agitando un potere di ricatto. Le convergenze di analisi (sui limiti del meccanismo elettorale, e di questo sistema artificialmente bipolare) tra Casini e Bersani sono così palesi che sorprende (perché aggrava la crisi) la riottosità a tratteggiare una comune via d’uscita dalla melma berlusconiana.
Se le considerazioni attorno all’insufficienza del 51 per cento sono senza dubbio la parte più caduca della riflessione di Berlinguer, conserva invece ancora oggi validità la parte della riflessione relativa alla preoccupazione storica per la sinistra di impedire, nelle fasi di transizione, che il centro moderato si coaguli con la destra. Quando la sinistra ha offuscato questo nucleo di verità della cultura del compromesso storico ha favorito gravi collassi istituzionali. Ma anche il campo moderato, quando si è sottratto al dialogo con la sinistra, ha accentuato il declino di una democrazia maledettamente difficile come quella italiana.
Nessun commento:
Posta un commento