quarto stato

mercoledì 27 aprile 2011

Quirra. Altri 2 indagati. Falsi i controlli nel poligono

Controlli pilotati per non vedere i danni ambientali causati dalle guerre simulate a Perdasdefogu e Quirra. Società che dovevano assumere il ruolo di controllori per conto della Nato ed eventuali inquinatori del poligono che fanno capo agli stessi gruppi imprenditoriali. E poi le scelte dei campioni da esaminare, indirizzate a senso unico: assolvere il poligono.

ALTRI DUE INDAGATI
Il quadro che emerge dall'inchiesta coordinata dal procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi appare sempre più chiaro e inquietante. Da ieri ci sono altre due persone iscritte nel registro degli indagati.
Si tratta di due esperti della società
S .G. S. di Torino (gruppo Fiat).
L'accusa di falso ideologico: nella relazione finale del loro lavoro di monitoraggio ambientale del poligono di Quirra, costato due milioni e mezzo di euro finanziati dal Ministero della Difesa ed esposta ai sindaci della zona lo scorso primo febbraio, avrebbero omesso di evidenziare che la concentrazione di piombo, alluminio, bario e tungsteno rinvenuta nei licheni esaminati a Quirra fossero causati dalle attività militari («dipendono dalla natura dei suoli», avrebbero chiosato dalla S. G. S., senza i necessari accertamenti scientifici).

LE PECORE
Ma gli esperti scelti dalla Nato non avrebbero neanche evidenziato le particelle metalliche ritrovate nei polmoni delle pecore. Adottando una strategia contestata dalla Procura: anziché confrontare gli animali che pascolavano nel poligono con quelli di un'altra realtà geografica distante, per esempio il Campidano, li avrebbero raffrontati con quelli che gravitano nella stessa zona, probabilmente contaminata dalle identiche nano particelle cancerogene: cioè con le pecore di Quirra.

L'ENEA
A smontare il rapporto della S.G.S sono state le veterinarie dell'Enea Fiorella Carnevali e Marta Piscitelli, su incarico della Procura.
Un parere che a questo punto rende superfluo e inutile quello dei Comitato di esperti presieduto dal medico Antonio Onnis, che su incarico dei vertici militari e degli enti locali della zona tra Ogliastra e Provincia di Cagliari doveva convalidare i dati del monitoraggio ambientale della Nato.


NO AI PASTORI
I pareri pervenuti alla Procura di Lanusei dicono anche altro.
Secondo la dott.sa
Gatti, docente universitaria a Modena, la presenza dei pastori nella zona del poligono è incompatibile dal punto di vista ambientale e sanitario: «Le polveri dei test contaminano aria, suolo e acqua e possono fare lo stesso con persone, animali e piante. Non basta sgomberare il poligono per le poche ore dei test. Gli effetti delle esplosioni rimangono a lungo».

SCATOLE CINESI
Inoltre emergerebbe anche un pericoloso intreccio di società collegate al poligono. Tra i clienti del Salto di Quirra ci sono la Oto Melara che appartiene a Finmeccanica, a sua volta nel consorzio Iveco-Fiat-Oto Melara. La stessa Vitrociset, che controlla i radar del poligono, fa parte del gruppo Selc, controllato da Finmeccanica.
E il consiglio di amministrazione della
S. G. S., che doveva controllare gli eventuali danni all'ambiente di tutte questa società, è presieduta da Sergio Marchionne, amm.delegato anche della Fiat.
Una situazione già denunciata sul nostro giornale dal comitato “
Gettiamo le Basi”.

di Paolo Carta L'Unione Sarda

mercoledì 20 aprile 2011

Poligono di Quirra. Nuove rivelazioni

«Sono contaminati anche i muschi della zona militare»


Non solo uranio impoverito nelle ossa di un agnello a due teste nato nel 2003 in un ovile di Escalaplano.

Un laboratorio specializzato di Bologna ha rinvenuto anche contaminazioni «
di sostanze non compatibili con l'ambiente naturale del Salto di Quirra anche nei muschi e nei licheni prelevati nella zona».

Lo spiega il professor Massimo Zucchetti, docente di impianti nucleari del Politecnico di Torino, uno dei consulenti scelti dalla procura di Lanusei per fare chiarezza sulla cosiddetta sindrome di Quirra, cioè sull'alta incidenza di tumori al sistema emolinfatico e di malformazioni riscontrare attorno alla zona militare.

«Sono state trovate sostanze - spiega il docente universitario tornese - non compatibili con un ambiente bucolico lontano dalle attività industriali». Sarebbe l'ulteriore prova dell'inquinamento particolare creato nel tempo dai test bellici effettuati tra Perdasdefogu e Quirra.

L'AGNELLO. Nel 2003 una serie di esperti fu incaricata dal comitato anti-militarista "Gettiamo le basi" di far luce su quanto stava accanendo attorno Quirra. Leucemie e linfomi in numero superiore alla media, stando al sindaco-oncologo Antonio Pili, e poi le malformazioni dei bambini nati tra il 1996 e il 1998 a Escalaplano (circa venti) e degli agnelli degli ovili attorno al poligono. Fu spedito in un laboratorio di Bologna anche un agnello nato con due teste (una abbozzata sotto la pelle dietro il collo): nelle ossa di questo animale è stato ritrovato uranio impoverito.

E nei muschi e licheni altre tracce inquietanti. «Questo laboratorio bolognese - spiega il professor Zucchetti - era stato incaricato di cercare l'uranio nelle zone bombardate dagli Usa, che avevano fornito addirittura le mappe delle regioni attaccate con quell'armamento. Risultato: nessuna traccia. Per un motivo molto semplice: la natura ha una capacità enorme di diluire certi materiali, che poi vengono  concentrati in particolari accumulatori biologici come le ossa, oppure i muschi e i licheni. Quel che stiamo facendo per Quirra è la regola basilare di ogni ricerca scientifica».

SEQUESTRO Ieri il procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi ha disposto il sequestro probatorio di alcune zone del poligono in cui venivano fatti brillare armi e muinizioni provenienti da tutta Italia. Inoltre è stato ordinata l'ispezione di 380 ettari di territorio all'interno del poligono: l'area sarà messa a disposizione dei consulenti scelti dalla Procura.

IL CONVEGNO Oggi si discuterà del caso Quirra a Ballao. In un convegno organizzato dalla Provincia di Cagliari a Casa Olla (alle 10) si discuterà delle prospettive future del territorio davanti a una eventuale dismissione del poligono.
di PAOLO CARTA -Unione Sarda

Aggiornamenti

Verra' effettuata giovedi' 21 aprile l'autopsia sui primi tre cadaveri – delle 20 salme riesumate di pastori e di un militare di Baunei, deceduti per tumori al sistema linfo-emopoietico – disposta dal procuratore della Repubblica di Lanusei Domenico Fiordalisi che indaga sull'incidenza che le esercitazioni militari effettuate nel Poligono interforze di Perdasdefogu-Salto di Quirra possono aver avuto sulla salute di uomini e animali.

Gli esami necroscopici verranno effettuati nell'ospedale di Lanusei dal prof.
Marco Grandi, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina Legale dell'Universita' di Milano. Inoltre e' stato studiato un apposito protocollo col prof. Esandro Lodi Rizzini, fisico del Cern di Ginevra e direttore del Dipartimento di Chimica e Fisica dell'Universita' di Brescia, incaricato dal procuratore Fiordalisi di verificare se esistono connessioni fra le morti verificatesi fra il 1995 e il 2010 e l'inquinamento nella zona del Poligono.

La Procura di Lanusei ha autorizzato il prof. Lodi Rizzini a disporre di diversi professionisti per l'espletamento dell'incarico conferito (analisi di radioattivita' e nanoparticelle sui resti umani), con la creazione di un pool di specialisti provenienti da varie parti d'Italia, che dispongono di varie attrezzature, anche similari, per il miglior controllo incrociato delle svariate analisi cui saranno sottoposti i reperti umani.

domenica 17 aprile 2011

Veleni Quirra: indagato ex colonnello

Veleni a Quirra, primo indagato:è un ex colonnello

esplosioni nel PoligonoIl racconto di Mauro Artizzu, militare di leva nel poligono di Perdasdefogu nel '97, sui brillamenti di munizioni e il successivo interramento all'interno della base, dà una scossa decisa all'indagine su Quirra. In queste ore, infatti, il procuratore di Lanusei, Domenico Fiordalisi, oltre ad aver disposto il sequestro di una nuova parte del poligono, ha iscritto nel registro degli indagati per "disastro ambientale aggravato" e per "omissione di atti d'ufficio per ragioni di igiene" il diretto responsabile di Artizzu all'epoca.

Si chiama
Tobia Santacroce, ha 66 anni, è originario di Chieti, è in pensione, ma nel '97 - nel periodo del quale parla Artizzu - era il colonnello che comandava l'ufficio inquadramento del poligono di Quirra. Era, cioè, il responsabile dei soldati di leva. La sua iscrizione nel registro degli indagati è, dunque, un atto dovuto, da parte degli inquirenti.

Il fascicolo sui reati che la Procura di Lanusei e la squadra mobile di Nuoro ipotizza che siano stati commessi a Quirra, infatti, annovera ancora tanti "omissis", ovvero ignoti sui quali ancora si deve indagare. Resta il fatto che l'inchiesta su Quirra, con questa decisione, comincia a restringere il cerchio attorno a ipotesi di reato e ad eventuali responsabilità. Il nome di Santacroce, secondo la Procura ogliastrina, è legato dunque alla tranche dell'inchiesta sull'inquinamento ambientale. Santacroce è stato iscritto nel registro degli indagati perché gli investigatori lo considerano legato ai fatti dei quali parla il teste Mauro Artizzu. Quest'ultimo, com'era emerso già nelle scorse settimane, agli inquirenti racconta ciò che ha visto nel poligono di Quirra quando era militare di leva, nel '97.

«Camion carichi di armi». «Al poligono - racconta l'ex militare di leva - brillavano le armi di tutta Italia. Arrivavano camion da tutta Italia pieni di munizioni da far brillare». Il giovane spiega anche che i camion entravano nella base, raggiungevano alcuni punti del poligono e lì si procedeva a far brillare le munizioni esauste. Queste esplosioni, aggiunge, producevano polveri che poi si posavano sul terreno circostante. Le polveri, infine, venivano raccolte e sotterrate dagli stessi militari all'interno di alcuni barili.

Fin qui, dunque, il racconto del teste, che dovrà essere verificato fino in fondo. Certo è che per gli investigatori resta un racconto affidabile e gli stessi ritengono di averne già trovato i primi riscontri. Per la Procura questi brillamenti non sarebbero state operazioni innocue. Se è vero, da un lato, che sono operazioni normali in un poligono, è vero anche che la presenza nello stesso poligono di pastori con il loro bestiame li rende del tutto particolari e, per la Procura, piuttosto pericolosi.

L'ipotesi di reato, infatti, è che queste «gigantesche esplosioni di tutto il munizionamento e delle bombe obsolete d'Italia, e l'interramento di numerosi rifiuti miltari in vaste aree del poligono» abbia, scrive la Procura, «cagionato un disastro ambientale che ha provocato l'insorgenza di malformazioni e malattie tumorali, in molti casi mortali, negli animali e nelle persone frequentanti il poligono». La Procura indaga anche per "omicidio plurimo con dolo eventuale dei pastori autorizzati a frequentare le aree vicine alla zona dei brillamenti e la zona dove erano interrati numerosi rifiuti militari".

Ipotizza che l'inquinamento ambientale a Quirra abbia influito in maniera pesante nei confronti di animali e persone. Fin qui, dunque, ipotesi di reato. Cosa c'entri in tutto questo il colonnello Santacroce è presto detto. Secondo gli investigatori, in quanto comandante, all'epoca dei fatti raccontati dal teste Artizzu, dell'ufficio inquadramento e del personale di leva, era responsabile anche di ciò che facevano questi militari. Di qui la sua iscrizione nel registro degli indagati: un atto dovuto, inevitabile.

Nuovi sequestri. Sempre in queste ore, la forestale e la squadra mobile nuorese guidata da Fabrizio Mustaro, su disposizione della Procura di Lanusei, hanno ispezionato e messo sotto sequestro diverse zone del poligono nelle quali, diverse settimane fa, tramite una ricognizione aerea, la stessa forestale avevano notato alcuni lavori di movimento terra e di spianamento della superficie da parte dei militari. La Procura sospetta che siano stati fatti ad arte prima di una visita particolare: era quella prevista per qualche giorno dopo da parte della commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito. La nuova zona messa sotto sequestro è quella chiamata "zona brillamenti" o "Torre gigli".

fonte: La Nuova Sardegna

link
video: i sopralluoghi al poligono di Quirra fonte Espresso
Leggi inchiesta: Quel Poligono uccide

venerdì 15 aprile 2011

"Palle di fuoco nel cielo di Quirra". La testimonianza del tecnico che vide gli esperimenti nella base sarda


Nessuno, in cinquant'anni di esplosioni, missili, esperimenti, ha mai raccontato cosa succedeva davvero dentro quella Mururoa sarda che è il poligono militare Salto di Quirra-Perdasdefogu.
I rapporti ufficiali hanno stilato verità di carta, ma chi ha lavorato al suo interno non ha mai dichiarato pubblicamente quale veleno potesse partorire mostri a sei zampe come gli agnelli di Quirra, cosa potesse seminare leucemie, linfomi, aborti in questa parte di Sardegna che la stessa legge ialiana, sul fronte dei risarcimenti, ha assimilato a una zona di guerra, senza rivelarne le cause. L'uranio impoverito, scoria di lavorazione nelle centrali nucleari, è sulla lista degli indagati. Ma non è questo il solo veleno possibile.


Questa è la testimonianza, mai resa prima, di un tecnico dell'Uva, il gigante della metallurgia italiana, e che ha partecipato alle sperimentazioni industriali effettuate nel poligono sardo a metà degli anni Ottanta.

Questa è l'altra faccia di Quirra: quella
dell'industria civile che noleggia la base, la sua terra, il cielo e l'acqua - a 50 mila euro l'ora, secondo fonti non ufficiali - con il lasciapassare dello Stato Maggiore della Difesa.
«
Il mio compito era quello di testare le tubazioni d'acciaio prodotte dall'Uva per i metanodotti destinati al mercato americano e russo -racconta l'uomo, che preferisce mantenere l'anonimato per motivi di sicurezza -.
Nel metano sono presenti elementi corrosivi che, nel tempo, possono danneggiare i tubi: era necessario dunque valutarne la tenuta con simulazioni sia di laboratorio, sia in piena scala».

Gli esperimenti dei gasdotti in piena scala avvenivano nel poligono sardo di Quirra-Perdasdefogu, l'unica stazione in Europa nella quale ancora oggi è possibile compiere test di questo tipo. Ad eseguirli non era direttamente l'Uva, ma un suo braccio, il Csm. Il Csm, che sta per Centro Sviluppo Materiali, è un laboratorio di sperimentazione fondato nel '63 dalle maggiori imprese siderurgiche italiane per testare l'affidabilità e la sicurezza di componenti e tubazioni per il trasporto del petrolio e del gas, Sede legale a Roma, il Centro di ricerca è oggi una Spa che nel suo azionariato conta la ThissenKrupp, la Finmeccanica, la Tenaris, il gruppo Eni e possiede una costola proprio presso il poligono di Perdasdefogu, dove effettua gli esperimenti in piena scala. In sostanza, quando l'industria civile ha bisogno di provare "dal vivo" i suoi prodotti prima di metterli sul mercato, si appoggia al Csm che prende in affitto una parte della base militare e compie i test per conto dei committenti. Senza interferenze esterne.


«A metà degli anni Ottanta - spiega il tecnico dell'Uva - la mia azienda mi inviò in Sardegna per seguire i test in piena scala sulle tubazioni per i metanodotti effettuati dai tecnici del Csm su nostra commissione. Obiettivo dell'esperimento era quello di simulare la tenuta delle tubazioni a 25 anni di usura. I test erano due: uno off shore, a terra, l'altro on shore, a mare. Il primo fu eseguito a Perdasdefogu, in località "Le due torri": furono interrati 50 metri di tubazioni da 48 pollici alla profondità di sei metri. Per assistere all'esperimento, ci appostammo a circa due chilometri di distanza dal punto in cui era stato interrato il tubo. Quando avvenne l'esplosione, mi sarei aspettato che si sollevasse una nuvola di polvere, dal momento che secondo le mie informazioni la simulazione sarebbe dovuta avvenire caricando le tubazioni d'aria compressa. Invece vidi alzarsi un'enorme palla di fuoco, che prese la forma di un fungo e cominciò a spostarsi, sospinta dai venti. Rimase a galleggiare nel cielo per circa venti minuti. Non poteva essere aria compressa: l'aria non prende fuoco. Era un gas».

Secondo il testimone, si sarebbe trattatodi acido solfidrico, una sostanza presente nel gas naturale in minima quantità, ma estremamente tossica, caricata nei tubi per esasperare gli effetti corrosivi che l'acido avrebbe provocato nel tempo sull'acciaio.
«L'odore era quello inconfondibile delle uova marce, quello dell'
H2S: io lo riconobbi, perché nei test di laboratorio lo utilizzavo in minime quantità».

L'elenco dei danni provocati dall' acido solfidrico, un gas la cui tossicità è paragonabile a quella del cianuro, è lunghissimo: disturbi neurologici, respiratori, motori, cardiaci, poi aborti e malformazioni genetiche. Non solo: come ha sempre sostenuto la nanopatologa Morena Gatti, da tempo impegnata a dimostrare la correlazione tra la presenza della base e l'altissima incidenza delle malattie a Quirra, sono le combustioni ad altissime temperature, proprio come quella descritta dal tecnico, a creare e diffondere nell'ambiente le nanoparticelle, leghe di metalli pesanti di dimensioni infinitesimali, ma altamente cancerogene.

«
Il secondo esperimento si tenne in mare - prosegue il testimone - al largo di Torre Murtas, nel territorio di Quirra. Anche in questo secondo caso l'esplosione fu spaventosa: la colonna d'acqua che si sollevò era alta circa 90 metri, superiore all'altezza della gru posizionata lì vicino per la sistemazione dei tubi sott'acqua: lascio immaginare quale disastro possano causare esplosioni di queste proporzioni sull'ecosistema marino».

I dossier sugli esperimenti in cui venivano riportate la procedura e le sostanze utilizzate sono andati distrutti con la privatizzazione dell'Ilva: ciò che resta è la testimonianza di quest'uomo e quello che hanno visto i suoi occhi. Una testimonianza che apparentemente coincide con delle immagini che il Csm pubblica sul suo sito e che hanno incuriosite la procura di Lanusei, che sulla sindrome di Quirra sta conducendo una coraggiosa indagine per omicidio plurimo con dolo.
Immagini, quelle dei test, che non restituiscono l'odore delle uova marce, ma che raccontano, con spietata nitidezza, il martirio di questa terra.

Paola Medde Unità.it


Altre notizie sconvolgenti

Uranio: 'L' Espresso', al poligono di Quirra esplosioni di armi e nubi tossiche

Al poligono di Quirra sarebbero state fatti ‘’brillare giganteschi cumuli di armi e munizioni, con esplosioni avvolte dal silenzio dei militari’’. La rivelazione è del settimanale ‘l’Espresso’, secondo cui, in quei ‘’dodicimila ettari di meraviglia naturale sulla costa sudorientale della Sardegna, convertiti nel 1956 in area per operazioni off limits”, nei decenni “eserciti e aziende di mezzo mondo, incluse quelle italiane, hanno sperimentato armi e materiali segreti”.
L’ipotesi viene fuori dall’intercettazione di un ex militare: ‘’E’ a Cagliari, in casa, e il 3 marzo scorso si sta confidando con la sua ragazza e un amico – ricostruisce il settimanale – Sapesse che c’e’ un registratore, nascosto nella stanza, tacerebbe subito. Invece ignora l’interesse che gli investigatori hanno per i suoi ricordi, e racconta cio’ che ha visto e fatto nel 1997, quand’era militare di leva al Pisq, il Poligono sperimentale interforze Salto di Quirra’’.
‘’Ho fatto un giuramento per non dire niente!’’, avrebbe detto l’ex militare agli amici, ma poi avrebbe svelato, spiega ‘l’Espresso’, ‘’quella che, a suo dire, era un’abitudine consolidata al poligono di Quirra: brillare giganteschi cumuli di armi e munizioni, con esplosioni avvolte dal silenzio dei militari’’. “Li’ hanno brillato tutte le armi di tutto, non solo della Sardegna: di tutta l’Italia”, avrebbe raccontato. E ancora: “Venivano da Milano, da ogni parte arrivavano i camion…”. Secondo il racconto intercettato, i mezzi ‘’entravano nella base e, a circa un chilometro e mezzo dagli uffici di Perdasdefogu, raggiungevano una buca profonda 80 metri: ‘un vulcano’, in cui scendevano mezzi articolati carichi di munizioni e armi’’.
“Uno scenario – riporta L’Espresso – che pone mille domande. Le stesse che muovono il 2 aprile Domenico Fiordalisi, capo della Procura di Lanusei, provincia dell’Ogliastra, il quale scrive alla Procura generale cagliaritana citando proprio, tra le testimonianze raccolte, quella sulle ‘gigantesche esplosioni a Perdasdefogu che avevano provocato nubi tossiche e disperso particelle altamente nocive’”.
“La premessa da cui parte per ipotizzare reati che vanno dall’omicidio plurimo di pastori all’omissione di atti d’ufficio ‘per ragioni di giustizia e sanita’’; dall’omissione dei controlli nel demanio militare, all’omissione di provvedimenti amministrativi e sanitari. Fino al capitolo piu’ delicato e importante: il sospetto, sul quale Fiordalisi indaga da mesi, di ‘introduzione nello Stato, detenzione e porto illegale in Ogliastra di armi da guerra all’uranio impoverito’. Che si lega, in un crescendo inquietante, all’ipotesi del disastro ambientale per ‘dispersione di materiali all’uranio impoverito e materiali radioattivi’: sparsi in parte ‘da vari missili’, e in parte dal brillare al Pisq ‘tutte le munizioni e bombe obsolete d’Italia, senza cautele per l’ambiente e la salute umana e animale’”.

Link
Quirra, l'agnello a due teste. Video su tutta l'inchiesta fonte Rainews24
Il poligono della morte Salto di Quirra . Articolo di Mariella Cao

martedì 12 aprile 2011

Il respiro della politica che ci manca

Vi riporto un articolo veramente bello di Barbara Spnelli pubblicato da Repubblica che vale la pena leggere e discutere. Non aggiungo altro
Un saluto

Vladimir




Il tempo dei profeti

Il Presidente Napolitano, che quando parla d'Europa usa veder lontano e ha sguardo profetico, ha fatto capire nel giorni scorsi quel che più le manca, oggi: il senso dell'emergenza, quando una crisi vasta s'abbatte su di essa non occasionalmente ma durevolmente; l'incapacità di cogliere queste occasioni per fare passi avanti nell'Unione anziché perdersi in "ritorsioni, dispetti, divisioni, separazioni". Son settimane che ci si sta disperdendo così, attorno all'arrivo in Italia di immigrati dal Sud del Mediterraneo. Numericamente l'afflusso è ben minore di quello conosciuto dagli europei nelle guerre balcaniche, ma i tempi sono cambiati. Lo sconquasso economico li ha resi più fragili, impauriti, rancorosi verso le istituzioni comunitarie e le sue leggi. Durante il conflitto in Kosovo la Germania accolse oltre 500mila profughi, e nessuno accusò l'Europa o si sentì solo come si sente Roma. Nessuno disse, come Berlusconi sabato a Lampedusa: "Se non fosse possibile arrivare a una visione comune, meglio dividersi". O come Maroni, ieri dopo il vertice europeo dei ministri dell'Interno che ha isolato l'Italia: "Mi chiedo se ha senso rimanere nell'Unione: meglio soli che male accompagnati". La sordità alle parole di Napolitano è totale.

La democrazia stessa, che contraddistingue gli Stati europei e spinge i governi a preoccuparsi più dell'applauso immediato che della politica più saggia, si trasforma da farmaco in veleno.

Di qui la sensazione che l'Unione non sia all'altezza: che viva le onde migratorie come emergenza temporanea, non come profonda mutazione. Governi e classi dirigenti sono schiavi del consenso democratico anziché esserne padroni e pedagoghi con visioni lunghe. Non a caso abbiamo parlato di spirito profetico a proposito di Napolitano. È la schiavitù del consenso a secernere dispetti, rancori, furberie. Tra le furberie che ci hanno isolato c'è la protezione temporanea eccezionale che il nostro governo ha concesso a 23.000 immigrati. La protezione è prevista dal Trattato di Schengen, ma solo per profughi scampati a guerre e persecuzioni: non vale per i tunisini, come ci hanno ricordato ieri la Commissione e gli Stati alleati. Non è violando le regole che l'Italia suscita solidarietà. Può solo acutizzare le diffidenze: un altro veleno che mina l'Unione.

Per questo vale la pena soffermarsi sul significato, in politica, dello spirito profetico. Vuol dire guardare a distanza, intuire le future insidie del presente, ma innanzitutto comporta un'operazione verità: è dire le cose come stanno, non come ce le raccontiamo e le raccontiamo per turlupinare, istupidire, e inacidire gli elettori. Di questo non è capace Berlusconi ma neanche gli altri Stati e le istituzioni europee: i primi perché sempre alle prese con scadenze elettorali, le seconde perché intimidite dalle resistenze nazionali. La lentezza con cui si risponde alle rivoluzioni arabe non è la causa ma l'effetto di questi mali.

La prima verità non detta è quasi banale, e concerne l'intervento in Libia e il nostro voler pesare sui presenti sconvolgimenti arabi e musulmani. Condotta con l'intento di apparire attivi, la guerra sta confermando il contrario: una grande immobilità e vuoto di idee. È un attivarsi magari sensato all'inizio, ma che mai ha calcolato le conseguenze (compresa un'eventuale vittoria di Gheddafi) sui paesi arabi-africani e sui nostri. Fra le conseguenze c'è l'esodo di popoli. Un esodo da assumere, se davvero vogliamo esserci in quel che lì si sta facendo. Invece siamo entrati in guerra senza pensarci, né prepararci.

La seconda verità, non meno cruciale, riguarda l'Europa e i suoi Stati. L'occultamento è in questo caso massiccio, ed è il motivo per cui il capro espiatorio della crisi migratoria non è l'Italia come gridano i nostri ministri ma  -  se non si inizia a parlar chiaro  -  l'Unione stessa. L'evidenza negata è che da quando vige il Trattato di Lisbona, molte cose sono cambiate nell'Unione. Le politiche di immigrazione erano in gran parte nazionali, prima del Trattato. Ora sono di competenza comunitaria, e la sovranità è passata all'Unione in quanto tale. Questo anche se agli Stati vengono lasciati, ambiguamente, ampli spazi di manovra, in particolare sul "volume degli ingressi da paesi terzi".

Risultato: l'Unione, anche perché guidata a Bruxelles da un Presidente debole, prono agli Stati, non sa che fare della propria sovranità. Non ha una politica verso i paesi arabi, di cooperazione e sviluppo. Tuttora non ha norme chiare sull'asilo, sull'integrazione dei migranti, né possiede il corpo comune di polizia di frontiera che aveva promesso. Ma soprattutto, non ha le risorse per tale politica perché gli Stati gliele negano, riducendo la sovranità delegata a una fodera senza spada. Per questo alcuni spiriti preveggenti (l'ex ministro socialista Vauzelle, il presidente del consiglio italiano del Movimento europeo Virgilio Dastoli) propongono una cooperazione euro-araba gestita da un'Autorità stile Ceca (la prima Comunità del carbone e dell'acciaio). Come allora viviamo una Grande Trasformazione, e Monnet resta un lume: "Gli uomini sono necessari al cambiamento, le istituzioni servono a farlo vivere".

Se il Trattato di Lisbona significasse qualcosa, non dovrebbero essere Berlusconi e Frattini a negoziare con Tunisia o Egitto, con Lega araba o Unione africana. Dovrebbero essere il commissario all'immigrazione Cecilia Malmström e il rappresentante della politica estera Catherine Ashton. Resta che per negoziare ci vogliono progetti, iniziative: e questi mancano perché mancano risorse comuni. La condotta dei governi europei è schizoide, e tanto più menzognera: gli Stati hanno avuto la preveggenza di delegare all'Europa una parte consistente di sovranità, su immigrazione e altre politiche, ma fanno finta di non averlo fatto, e ora accusano l'Europa come se gli attori del Mediterraneo fossero ancora Stati-nazione autosufficienti.
La terza operazione-verità, fondamentale, ha come oggetto l'immigrazione e il multiculturalismo. È forse il terreno dove il mentire è più diffuso, tra i governanti, essendo legato alla questione della democrazia, del consenso, della mancata pedagogia, degli annunci diseducativi. Risale all'ottobre scorso la dichiarazione di Angela Merkel, secondo cui il multiculturalismo ha fatto fallimento. Poco dopo, il 5 febbraio in una conferenza a Monaco sulla sicurezza, il premier britannico Cameron ha decretato la sconfitta di trent'anni di dottrina multiculturale. Il fatto è che il multiculturalismo non è una dottrina, un'opinione. È un mero dato di fatto: in nazioni da tempo multietniche come Francia Inghilterra o Germania, e adesso anche in Italia e nei paesi scandinavi. L'operazione verità non consiste nel proclamare fallito il multiculturalismo: se un dato di fatto esiste, fallisce solo se se estirpi o assimili forzatamente i diversi. Se fossero veritieri, i governi dovrebbero dire: il multiculturalismo c'è già, solo che noi  -  Stati sovrani per finta  -  non abbiamo saputo né sappiamo governarlo.

Dire la verità sull'immigrazione è essenziale per l'Europa perché solo in tal modo essa può osare e fare piani sul futuro. Urge cominciare a dire quanti immigrati saranno necessari nei prossimi 20 anni, e quali risorse dovranno esser mobilitate: sia per mitigare gli arrivi cooperando con i paesi africani o arabi, sia edificando politiche di inclusione per gli immigrati economici e per i profughi (la frontiera spesso è labile: la povertà inflitta è una forma di guerra).

Tutto questo costerà soldi, immaginazione, pensiero durevole. Comporterà, non per ultimo, un ripensamento della democrazia. Ci sono cose che non si possono fare perché maturano nei tempi lunghi e l'elettorato capisce solo i risultati immediati, spiega l'economista Raghuram Rajan in un articolo magistrale sulle crisi del debito (Project Syndacate, 9 aprile 2011). Il bisogno di immigrati che avremo fra qualche decennio in un'Europa che invecchia è, paradossalmente, quello che dà forza ai nazional-populisti: in Italia, Francia, Belgio, Olanda, Ungheria, Svezia, Finlandia. Il dilemma delle democrazie è questo, oggi. Esso costringe governanti e governati a fare quel che non vogliono: smettere l'inganno delle sovranità nazionali, guardare alto e lontano, insomma pensare. E far politica, ma con lo spirito profetico che vede la possibile rovina (il "passo indietro" paventato da Napolitano) e la via d'uscita non meno possibile, se è vero che il futuro non cessa d'essere aperto.

lunedì 11 aprile 2011

Quirra, nelle ossa di un agnello con due teste trovato uranio




Quirra, c'è uranio
nelle ossa di un agnello
con due teste

La prova che tra Perdasdefogu e Quirra sono state utilizzate armi all’uranio si troverebbe nelle ossa di un agnello con due teste.

Un agnello nato con due teste, nelle cui ossa sono state trovate "tracce di uranio non naturale" *, potrebbe confermare l'ipotesi che tra Perdasdefogu e Quirra siano state utilizzate armi con materiale radioattivo. Il sospetto è venuto attraverso le analisi rese note dal professor Massimo Zucchetti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino e consulente del Procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, che da mesi indaga sull'incidenza che le esercitazioni militari effettuate nel poligono militare possano aver avuto sulla salute di uomini ed animali.

Sarà lo stesso magistrato che, ricevuti gli incartamenti relativi alle analisi, deciderà se e come utilizzare i documenti all'interno della delicata inchiesta. Il professor Zucchetti ha fornito alcuni particolari parlando sabato notte a Rai News 24 e annunciando ulteriori e più precise notizie una volta che il laboratorio dove sono stati analizzati i reperti chiarirà i dettagli delle analisi.


L'agnello con due teste era nato a Escalaplano nel 2003 e da quando, anni fa, venne analizzato nel laboratorio specializzato di Bologna, il referto non venne mai ritirato. Ora il responso che non ammette dubbi: nelle ossa dell'ovino vi è "uranio non naturale", in grado, di creare danni ai figli degli animali che sono venuti in contatto con quella sostanza.

Si tratta di un nuovo elemento di indagine, quindi, per il procuratore Fiordalisi, che indaga sul presunto utilizzo nel Poligono sardo di armi con uranio impoverito, e che le scorse settimane ha anche decisione di far riesumare una ventina di allevatori, morti fra il 1995 ed il 2010 a causa di tumori al sistema linfo-emopoietico per accertare se vi siano contaminazioni da sostanze radioattive.
fonte La Nuova Sardegna


*Materiale impoverito, cioè residuo dall'operazione di arricchimento del minerale radioattivo, oppure addirittura scorie di combustibile per le centrali atomiche.

giovedì 7 aprile 2011

Pietà per i fratelli


collage di Ida sulla tragedia dei migranti
Ho negli occhi il mare, il mare che amo, il mio mare, il nostro mare, questo Mediterraneo giorno dopo giorno divenuto mare di morte, fossa comune di senza nome.
Mare maledetto, mare nero, nero come i corpi che gonfi galleggiano e poi sprofondano nella tua furia.
Mare non più mare, ma inferno di creature rese estranee alle sponde, alle parole dei porti, agli odori, al suono delle sirene, ai sorrisi, al benvenuto dei viaggi. Estranee al respiro.

Mare senza più musica, alfabeti. Senza più misericordia: che ti hanno fatto per meritare gli abissi?
Tra le spume, dove ricordo balenava il cielo, vedo i denti dello squalo, lo stesso catrame di un vizio umano che zavorra l'anima al possesso.
Mare cosa ha trasformato il tuo azzurro nel colore del metallo? chi ti ha sporcato con l'odio e l'indifferenza?

Mare di uomini e donne e bambini alla deriva che chiamo per nome, un nome che non conosco...

No, tu sei il mare, altro da noi uomini, altro da tutto. Non è tua la vendetta, la legge che nega la vita, la paura che frange speranze disperate.
No, non sei tu l'esecutore dei lutti, non è tua la mano che fa il lavoro sporco.

Tu sei il mare, figlio della tempesta eppure amico, il mare che mi porto negli occhi dalla nascita, il mare dall'ampio orizzonte che mi regalò mia madre, che ho traversato quando ho avuto gambe e in cuore un idea per andare.

No!, quelle morti non t'appartengono e chi dice disgrazia mente, così da lavarsi la coscienza, così da continuare il sonno tranquillo.

Mare di uomini e donne e bambini alla deriva che chiamo per nome, un nome che non conosco...

Bisognerà darglielo un nome, altrimenti vagheranno come spettri da una riva all'altra. E col nome la dignità d'una storia, e la giustizia che gli abbiamo negato, per ripare al torto, per non continuare ad ucciderli. Per non uccidere i nostri sogni.

Va e ritorna il mare, instancabile va e ritorna e ogni goccia porta il sale della nostra sconfitta, l'amaro dell'innocenza perduta.
Mare nostro, ora e per sempre, pietà per i fratelli


Vladimir

martedì 5 aprile 2011

Cinese muore in fabbrica clandestina. Il corpo gettato in strada



Appello al Presidente della Repubblica affiché conceda a Yaeb Sara, il bambino nato in mare durante la traversata dalla Libia verso Lampedusa, la nazionalità italiana.

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Il post di oggi

Esseri umani alla stregua di oggetti e come gli oggetti si usano e poi si gettano. Ormai funziona così il meccanismo.

Finché sei di qualche utilità bene, ma appena risulti inabile a perseguire profitto, a realizzare per conto di qualcuno (un tempo si chiamava padrone) denaro, ricchezza, finisci nella spazzatura. Alla stessa maniera di una lametta per la barba dopo la rasatura.

Non so interpretare diversamente, se non alla luce della teoria del consumo e dello sfruttamento che ti sfinisce portandoti alla morte, quanto è accaduto a un
lavoratore cinese di 29 anni, trovato cadavere in una piazzetta di Prato.

Si chiamava
Shi Son Bin. Lavorava in uno di quei laboratori-lager clandestini che proliferano in zona. Probabilmente colto da malore è deceduto nel sonno, dopo aver sgobbato tutta la notte. Il suo corpo è poi stato abbandonato in un piazzale poco distante, nel tentativo di evitare controlli.

È questa, in base le indagini, la ricostruzione dell'accaduto effettuata dalla procura di Prato dopo il ritrovamento del corpo, avvenuto ieri. Secondo quanto raccontato da alcuni testimoni, a trasportare il cadavere nel piazzale sono stati alcuni connazionali di Son Bin, che lo avevano trovato esanime nella branda ricavata nel sottoscala di
dormitoriun magazzino, dove la polizia ha scoperto un laboratorio illegale di confezioni.

Il sostituto procuratore di Prato Sergio Affronte ha disposto l'autopsia, che sarà svolta domani pomeriggio, anche se le cause della morte sembrano essere naturali,
magari dovute a sfinimento fisico, a ritmi e turni di lavoro impossibili.

Per la seconda volta in tre giorni il cadavere di un giovane operaio cinese viene trasportato in strada per evitare i controlli sul luogo di lavoro, dove effettivamente era avvenuto il decesso.
La procura di Prato ha aperto infatti un fascicolo per omissione di soccorso nella vicenda della morte di
Li Hua Feng, la 29enne trovata morta venerdì scorso su un marciapiede di Mezzana, davanti all'azienda in cui lavorava.
A poco più di una settimana fa, invece, risale
il caso della giovane, coetanea dei due, uccisa dalle esalazioni di una caldaia all'interno di una ditta di confezioni a Seano.

L’illegalità diffusa a Prato, e in buona parte del distretto tessile cinese, non è solo un problema di concorrenza sleale, tasse violate e doveri non onorati. Di questa illegalità diffusa le prime vittime sono gli stessi cinesi, costretti a lavorare in turni massacranti o a vivere in fabbriche dormitorio con bambini e famiglie, privi delle coperture riconosciute a tutti i lavoratori e senza la garanzia, come in questo caso, ad un pronto soccorso sanitario.

Un saluto

Vladimir

Aggiornamenti:
Forse usavano sostanze dopanti per resistere ai turni di lavoro. E' una delle ipotesi al vaglio degli investigatori di Prato, che stanno indagando sul decesso di due operai cinesi, avvenuti venerdì e domenica in due diverse fabbriche del distretto tessile gestite da orientali. fonte Repubblica.it

link
leggi La Cina produce nella porta accanto.
Il boom delle imprese del Dragone in Italia

domenica 3 aprile 2011

Basta lacrime ipocrite


Appello al Presidente della Repubblica affiché conceda a Yaeb Sara, il bambino nato in mare durante la traversata dalla Libia verso Lampedusa, la nazionalità italiana.
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il post di oggi
La guerra del Mediterraneo e la nostra vergogna

I 68 cadaveri recuperati a largo di Tripoli portano a 15.828 il numero delle persone morte nel tentativo di raggiungere l’Europa. Chi volesse approfondire la questione può andare a consultare il sito di Fortress Europe e il corrispondente blog di Gabriele Del Grande. Ma attenzione: la cifra è largamente sottostimata. Perché si riferisce solo ai casi accertati, cioè segnalati da articoli di stampa, da organizzazioni umanitarie, oltre che naturalmente dalle autorità degli Stati.

Le barche dei migranti partono clandestinamente e “muoiono” clande- stinamente.

Spesso non se ne sa nulla. O si acquisiscono le prove a distanza di molti anni, come accadde per il naufragio avvenuto la notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1996 a largo di Portopalo di Capo Passero: quasi trecento morti, la più grave sciagura navale nel Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Le autorità degli Stati europei non gradiscono le notizie dei naufragi perché feriscono la cattiva coscienza della Fortezza Europa svelandone l’ipocrisia. E’ ragionevole pensare che il numero effettivo delle vittime sia almeno il doppio di quello calcolato da Fortress Europe.
Nel 2004 “The Guardian” diede notizia di una ricerca condotta dall’università di Plymouth che stimava in 4000 l’anno le vittime delle migrazioni via mare in tutto il mondo, metà delle quali sulle rotte verso l’Italia e la Spagna.

All’epoca, dunque, le vittime “europee” a partire dal 1996, cioè dall’entrata in vigore del trattato di Schengen, erano stimate in ventimila, a fronte di 200.000 (fonte: ministero dell’interno italiano) persone giunte via mare nel nostro territorio. Che significa ( se attribuiamo alle rotte spagnola metà delle vittime)
un morto annegato ogni venti persone giunte in Italia via mare.
Sono statistiche di guerra. La guerra silenziosa che si è svolta e si svolge sotto il nostro naso da una quindicina d’anni. Smettiamolo di sorprenderci, finiamola con le lacrime ipocrite e le commemorazioni. Prendiamo atto che noi italiani, noi occidentali, viviamo non solo al di sopra delle nostre possibilità economiche ma anche di quelle morali.
di G.M.Bellu L'Unita.it

sabato 2 aprile 2011

Alla ricerca di nuovi carcerieri per gli immigrati che respingeremo

Appello al Presidente della Repubblica affiché conceda a Yaeb Sara, il bambino nato in mare durante la traversata dalla Libia verso Lampedusa, la nazionalità italiana.
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Il post di oggi
E' un articolo a firma Barbara Spinelli pubblicato da Repubblica il 30 Marzo. Uno scritto analiticamente opportuno per riflettere sugli avvenimenti legati all'immigrazione, all'intervento in Libia e all'incapacità del Governo di fronteggiare l'emergenza.
Un saluto

Vladimir


Lampedusa e la sovranità del panico

Sono settimane che in Italia si guarda a quel che accade in Libia e alla guerra che stiamo conducendo attraverso un'unica lente: nient'altro è per noi visibile se non quello che potremmo patire noi, se i fuggitivi arabi e africani continueranno a imbarcarsi verso le nostre coste. Non si discute che di Lampedusa assediata, di città italiane più o meno restie all'accoglienza. Per la verità non si parla di rifugiati ma di invasori, come se la vera guerra fosse contro di noi.

Il trauma è nostro monopolio, il mondo è un altrove che impaura e minaccia: da un momento all'altro, il favore di cui gode l'operazione in Libia potrebbe precipitare. Sembriamo molto lucidi e pratici, ma questo restringersi della visuale ci rende completamente ciechi: l'altrove mediterraneo resta altrove, solo la nostra quiete di nazione arroccata e aggredita ci interessa. Già alcuni parlano di tsunami, ed ecco paesi e persone degradati ad acqua che irrompe.

Non ci interessa quel che fa Gheddafi (vagamente parliamo di massacri, in parte avvenuti in parte potenziali). Non ci interessano neanche gli insorti, le loro intenzioni. Il mondo è in mutazione ma noi siamo lì, chiusi in un recinto fatto di ignoranza volontaria: come se esistesse, oltre alla guerra preventiva, un non-voler sapere preventivo.
Credevamo di aver spostato le nostre frontiere più in là, lungo le coste libiche, ben felici che a gestire l'immigrazione fosse il colonnello coi suoi Lager, invece nulla da fare. Il muro libico crolla e i detriti son tutti a Lampedusa e la maggioranza stessa degenera in detrito: con Bossi che offre come soluzione lo slogan "föra di ball", con il Consiglio dei ministri che salta, con Berlusconi che di persona andrà nell'isola campeggiando - ancora una volta - come re taumaturgo.


Lampedusa è divenuta l'emblema della nostra condizione di vittime, il grido che lanciamo all'universo. Dice il governo che oggi arriveranno 4 navi per 10.000 posti, ma per tanti giorni non abbiamo visto che l'isolotto sommerso da grumi informi a malapena identificati con persone. Il fermo immagine sull'isola - il fotogramma che sospende il tempo creando stasi, ristagno - è l'arma di un governo che scientemente arresta la pellicola su questo dramma abbacinante. Lampedusa è agnello sacrificale, ha scritto su Repubblica Eugenio Scalfari. Tutte le colpe s'addensano nell'icona espiatoria, e non stupisce il vocabolario sacrificale che l'accompagna: esodo biblico, inferno, apocalisse. Sguainare la parola apocalisse è profittevole al capo politico, che pare più forte. Diventa il kathekon del mondo: trattiene i poveri mortali dal disastro. Così Lampedusa si tramuta in podio politico: Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, già ci è andata, il 14 marzo, ben cosciente che l'Italia è oggi laboratorio delle destre estreme.

Giustamente il cardinale Martini mette in guardia contro l'uso dello spauracchio apocalittico: non ha detto, Gesù, che "fatti terrificanti" verranno ma "nemmeno un capello del vostro capo perirà"? La paura è comprensibile ma va affrontata, secondo Martini, con quattro virtù: resistenza, calma, serietà, dignità. È proprio quello che manca in Italia. Che manca, nonostante l'attività della Caritas, anche alla Chiesa: con gli innumerevoli alloggi che possiede, non pare sia decisa a offrirli per i fuggiaschi, stipati in condizioni non vivibili, privati ora anche di cibo. Chiara Saraceno ha spiegato bene il paradosso, domenica su Repubblica: questi alloggi, trasformati in alberghi, godono di sconti fiscali perché destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali". Perché non sono messi subito a disposizione?

Quando non c'è serietà le bugie dilagano, le immagini s'adeguano. Si adeguano nel caso della guerra libica, che non essendo chiamata guerra non può nemmeno esser pensata a fondo, con conoscenza di causa. Si adeguano nel descrivere l'Unione europea, su cui piovono accuse talvolta giuste ma nella sostanza menzognere, da parte di governanti che di tutto son capaci tranne di pedagogia delle crisi. Se non c'è una politica europea sull'emigrazione, è perché gli Stati vogliono mantenere per sé competenze che non sanno esercitare. È contro il proprio panico sovrano che dovrebbero inveire, non contro Bruxelles: contro l'ideologia del fare da sé, del "ghe pensi mi", che angustia l'Italia da quasi cent'anni. In teoria dovrebbe valere il principio di sussidiarietà (l'Unione decide sulle questioni di sua competenza che gli Stati non sanno risolvere), ma si esita ad applicarlo. Quanto all'immigrazione, il trattato di Lisbona prevede che l'Unione decida all'unanimità tra governi, senza la codecisione del Parlamento europeo, con l'eccezione di alcune materie in cui il trattato stesso prevede la procedura legislativa ordinaria: solo in queste materie (non sono le più importanti) si decide a maggioranza qualificata e dunque si agisce.

Ma la menzogna decisiva riguarda quel che l'Italia pensa di sé. Alla radice della cecità, c'è l'illusione di essere una nazione che ancora può scegliere tra essere multietnica o no. Che non deve nemmeno chiedersi se stia divenendo xenofoba. In realtà sono 30 anni che siamo un paese d'immigrazione, con punte massime negli ultimi dieci, e quando Berlusconi nel 2009 disse che "non saremo un paese multietnico", mentiva per evitare il ruolo di pedagogo delle crisi. Per negare che la convivenza col diverso si apprende faticosamente ma la si deve apprendere: attraverso una cultura della legalità, dello Stato, del rispetto. Il politico-pedagogo non finge patrie omogenee che rimpatriano alla svelta bestiame umano, ma governa una civiltà multietnica che da tempo non è più un'opzione ma un fatto.

Per capire il nostro vero stato di salute conviene leggere il rapporto, assai allarmato, che Human Rights Watch ha pubblicato il 21 marzo sull'espandersi del razzismo in Italia. Condotta fra il dicembre 2009 e il dicembre 2010, l'inchiesta raccoglie una mole di testimonianze e mette in luce cose che sappiamo, ma dimentichiamo. Raramente il crimine razzista è denunciato come tale, nonostante la legge Mancino del '93 (articolo 3) lo consideri un'aggravante nei reati: la disposizione non è però inserita nel Codice penale. Raramente sono applicate leggi europee e internazionali per noi vincolanti. Infine, né polizia né magistratura sono formate per affrontare reati simili, e numerosissimi casi vengono archiviati, specie quando le violenze sono commesse da forze dell'ordine.

È la retorica che vince sui fatti, scrive ancora il rapporto, e la colpa è dei politici come dei media. Dei politici, che per primi "stigmatizzano le persone con stereotipi". Dei media, "a causa della monopolizzazione dell'editoria radio-televisiva esercitata da Berlusconi". Il rapporto non risparmia la sinistra, spesso tentata di equiparare immigrati e criminali.

Continuamente i politici chiedono che immigrati o fuggitivi si integrino nella nostra cultura, ma è ipocrisia. Primo perché ai fuggiaschi non vengono dati gli strumenti per interiorizzare la nostra civiltà, i suoi diritti e doveri. Secondo perché gli italiani stessi - mal informati, mal governati - ignorano la civiltà sbandierata. Basti un esempio. Il migrante privo di documento che è vittima di un reato può richiedere il rilascio di un permesso temporaneo, e rimanere nel paese per la durata del processo. L'autorizzazione è concessa per periodi rinnovabili di tre mesi, e revocata a processo finito se il caso è archiviato. Ma la regola di solito è ignorata, con effetti gravi: il reato non è denunciato per paura, la fiducia del migrante nello Stato frana, le mafie diventano rifugi.

Se questa è la cultura politica imperante non sorprende che la nostra politica estera sia così debole, anche in Libia. Non dimentichiamo che gli aiuti pubblici allo sviluppo, in Italia, sono crollati. Ristabiliti dal governo Prodi, da due anni scendono sempre più. In uno studio per l'Istituto affari internazionali, Iacopo Viciani fornisce dati probanti: nel bilancio di previsione per il 2011, la cooperazione allo sviluppo è tra le spese più decurtate, riducendo al minimo il peso italiano nel mondo. Gli stanziamenti per la cooperazione raggiungeranno nel 2011 il livello più basso, con una riduzione del 61% rispetto al minimo del '97. Si dirà che ciascuno taglia, in Europa. È falso: Londra, Stoccolma e Parigi aumentano gli aiuti malgrado la crisi.

Inutile andare a una guerra quando si conta così poco nella scelta delle sue già confuse finalità. I governi italiani non sono gli unici ad aver negoziato con Gheddafi, ma il patto stretto da Berlusconi ha qualcosa di scellerato. È grazie a esso che dal 2009 sono stati rimpatriati centinaia di africani giunti in Libia per arrivare in Europa. Senza distinguere tra profughi e migranti, i fuggitivi sono stati respinti in Libia ben sapendo cosa li aspettava: autentici campi di concentramento, dove regnavano tortura, stupri, fame.

Forse è il motivo per cui fatichiamo, non solo in Italia, ad analizzare questa guerra libica così opaca. A vedere le insidie di un movimento di insorti che non ha esitato, pare, a uccidere prigionieri africani sospettati di lavorare per Gheddafi. Molti libici fuggiranno anche dai successori del colonnello: dai ribelli che stiamo aiutando perché abbattano il Rais. Forse siamo semplicemente alla ricerca di nuovi carcerieri per gli immigrati che respingeremo.