quarto stato

venerdì 10 giugno 2011

Rapporto annuale sulla violazione dei diritti sul lavoro

Morti e violenze. E' questo il drammatico bilancio

L’analisi annuale del Sindacato Internazionale (ITUC) traccia un quadro sulla condizione di milioni di persone. La repressione più forte in America Latina. In Colombia il primato degli omicidi. Situazioni drammatiche anche in Bangladesh, Pakistan, Filippine, Uganda e Swaziland.
Noam Chomsk: è in atto un’opera di desindacalizzazione, flessibilizzazione e deregolamentazione nei paesi poveri, ma anche industrializzati

È un vero e proprio bollettino di guerra il rapporto annuale del sindacato internazionale ITUC  sulle violazioni dei diritti del lavoro: nel 2010 sono stati uccisi 90 sindacalisti, almeno 2.500 sono stati arrestati e almeno 5 mila “semplicemente” licenziati.
“In tutto il mondo ci sono lavoratori e cittadini che tentano di rivendicare i diritti elementari a un lavoro dignitoso e a una vita dignitosa, ma in molti paesi queste persone trovano solo violenza e repressione da parte dei governi e delle imprese, fino ai casi estremi degli omicidi”, commenta la segretaria generale Sharan Burrow.

Sindacalisti sotto tiro. La repressione più forte continua a essere registrata in America Latina, dove la Colombia detiene il primato degli omicidi, con 49 casi. Dieci morti anche in Guatemala e altri in Brasile, a El Salvador, in Honduras. L’altra metà è distribuita tra Bangladesh, Pakistan e Filippine, in Asia, e Swaziland e Uganda in Africa. Importante anche il caso dell’Iran, dove il rappresentante degli insegnanti è stato impiccato dopo un processo sommario, nonostante le proteste popolari e le pressioni internazionali. L’unica nota positiva riguardo all’Iran è il rilascio – solo qualche giorno fa – di Mansoor Onsanloo, in carcere da cinque anni per avere avviato uno sciopero dei trasporti a Teheran. Le minacce di morte e le intimidazioni sono molto diffuse anche in altri paesi: dalle dittature evidenti, come la Bielorussia, lo Zimbabwe e la Birmania, alle democrazie apparenti, come la Russia, il Messico e la Nigeria. I due diritti fondamentali del lavoro, ovvero la libertà sindacale e la contrattazione collettiva, sono ancora molto limitati per legge nei paesi emergenti come la Cina o in quelli più ricchi, nell’area mediorientale e del Golfo.
L’attacco globale al lavoro. Un mese fa, a margine della festa del primo maggio, Noam Chomsky aveva scritto che ci troviamo di fronte a un “attacco internazionale al lavoro”. Secondo il linguista americano è in atto un’opera di desindacalizzazione, flessibilizzazione e deregolamentazione mirata a creare insicurezza e condizioni di vita precaria, non solo nei paesi in via di sviluppo ed emergenti, ma anche nei paesi industrializzati. Il rapporto del sindacato internazionale sembra confermare questa teoria. A tre anni dalla crisi finanziaria ed economica che ha creato oltre 30 milioni di disoccupati, sembra esserci stata un’ulteriore erosione dei diritti del lavoro nell’ultimo anno. Secondo l’ITUC, infatti, “ai grandi poteri finanziari ed economici è stato permesso di dominare le politiche dei governi mentre disoccupazione, povertà e insicurezza sociale continuano a crescere”.
Più colpiti i migranti, le donne e i giovani. Ci sono alcune tendenze globali precise che la ricerca mette in evidenza: la scelta di molti governi di ignorare le norme fondamentali a tutela del lavoro; la mancanza di sostegno finanziario alle ispezioni e agli strumenti di tutela sociale; la mancanza di diritti e l’abuso sui lavoratori immigrati, in modo particolare nei paesi del Golfo Persico; lo sfruttamento della forza lavoro, prevalentemente femminile, nelle zone franche per l’esportazione. Senza parlare della crescente disoccupazione giovanile, non contrastata da politiche adeguate né da ammortizzatori sociali, ma solo da azioni repressive che ovunque scatenano ulteriori rivolte, come bene dimostrano i fatti del Nord Africa e del Medio Oriente. Il sindacato dedica una parte del rapporto al mondo arabo, denunciando la brutalità con cui i governi hanno risposto alla domanda di giustizia sociale e di democrazia, dall’Egitto alla Tunisia, al Bahrain.
I diritti e lo sviluppo. D’altra parte, per decenni molti governi e alcune istituzioni economiche internazionali hanno scelto di perseguire politiche liberiste con forti accenti antisindacali, nella convinzione che una solida regolamentazione del mercato del lavoro e l’attività dei sindacati indipendenti fosse un ostacolo allo sviluppo e una minaccia alla crescita. Al contrario, secondo le norme internazionali del lavoro, la libertà di associazione e la contrattazione collettiva sono fattori determinanti per uno sviluppo che si possa definire socialmente sostenibile. È soprattutto attraverso la contrattazione che si interviene sui redditi, si legano i salari alla crescita di produttività, si estendono le tutele sociali. Tutto questo serve ad alimentare la domanda interna, il consumo, e perciò favorisce l’economia nel suo complesso. Ma soprattutto favorisce la redistribuzione della ricchezza, unico vero modo di assicurare la stabilità politica e la coesione sociale.
fonte Solleviamoci’s Weblog

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