Sud: terra senza leggi
Metà delle "clementine" raccolte da sfruttati
tra tendopoli e minacce dei "caporali"
di RAFFAELLA COSENTINO
Sebbene sia un reato punibile con il carcere, il Caporalato in
Calabria continua a governare il mercato del lavoro agricolo. A due anni
dalla rivolta degli immigrati di Rosarno, la pratica di uno schiavismo
neanche tanto camuffato sono ancora lì sotto gli occhi (distratti) di
tutti. Dodici ore di lavoro per 25 euro, con il trasporto da pagare. La
xenofobia dilaga, ma copre situazioni di altra natura
Da agosto il caporalato è reato punibile con il carcere da cinque a otto
anni, ma nella Piana di Sibari non se n'è accorto nessuno. A due anni
dalla rivolta degli africani a Rosarno contro lo sfruttamento e la
'ndrangheta, in Calabria i braccianti per la raccolta di arance e
clementine si reclutano ancora all'alba per la strada. Corigliano
Calabro è un comune di 40mila abitanti sulla costa jonica cosentina,
sciolto per infiltrazioni mafiose, come lo era.
Ogni mattina, dalle 6 alle 8, nella frazione marina di Schiavonea, il
mercato delle braccia riempie la strada principale e i vicoli dietro la
parrocchia. Un sacchetto di plastica con il pranzo in mano, stivali ai
piedi e qualche fuoco improvvisato con i cartoni per scaldarsi dal
freddo dell'inverno. I capannelli di migranti romeni, ucraini, bulgari,
polacchi, albanesi, tunisini, marocchini e algerini attendono l'arrivo
di camion, furgoncini e macchine che li porteranno sui campi.
Venticinque euro al giorno, con minacce.
Oppure un euro a cassetta, da cui si deve sottrarre il costo del
trasporto dal paese ai campi, che va dai tre ai cinque euro a persona.
Il reclutamento avviene attraverso i caporali che sono sia italiani che
stranieri. Nessuna rivolta però. "Qui gli immigrati hanno imparato un
vizio bruttissimo: di non vedere e di non parlare, come gli italiani",
dice M. un tunisino che vive in un casolare abbandonato. Dai racconti
emerge un inferno di minacce e soprusi in un clima di assoluta omertà.
"Volevo andarmene perché stavo male, allora il padrone italiano mi ha
detto: 'o finisci o ti sparo'", continua il bracciante. "Se chiediamo i
soldi ci puntano la pistola alla tempia o ci dicono 'ti butto a mare' -
dice V. un romeno che lavora a Corigliano da anni - Mi segnano 20
giornate di lavoro e il resto va alla moglie del padrone, che sta a casa
mentre io raccolgo le arance".
Dodici ore a schiena curva.
Per il lavoro nero c'è scappato il morto. Il 19 dicembre Aurel Galbau,
romeno di 49 anni, è caduto da un albero sul quale stava raccogliendo le
olive in un campo nel vicino comune di Rossano. Ai carabinieri è
arrivata una segnalazione anonima. Quando i soccorsi sono giunti sul
posto era troppo tardi. "Li sfruttano facendoli lavorare 12 ore al
giorno per pochi euro quando glieli danno, spesso li fanno lavorare per
due mesi, alla fine il datore di lavoro scompare e non hanno più nemmeno
i soldi per rientrare nel loro paese", dice il parroco di Schiavonea,
padre Lorenzo Fortugno che con la Caritas ha aperto dal 2009 una mensa
serale per i braccianti. "Ci servono donazioni di alimenti, vestiti e
coperte" è l'appello lanciato da Achille De Gaudio, volontario fisso.
Quelle "clementine" sulle nostre tavole. Tra Natale e la Befana, le tavole degli italiani si riempiono di clementine. Nella Piana di Sibari la raccolta raggiunge l'apice. Due milioni e mezzo di quintali l'anno, il 60% della produzione nazionale. Lo sfruttamento della manodopera è intensivo. "I lavoratori sono costretti a usare i pesticidi senza adeguate protezioni e a raccogliere agrumi su cui i prodotti chimici sono stati spruzzati poco prima, molti braccianti si nutrono di questi frutti, soffrono di dermatiti, rischiano tumori", denuncia Giuseppe Guido, segretario Confederale Cgil - Pollino-Sibaritide-Tirreno. L'
stima che ci siano almeno 12mila stranieri per la stagione delle
clementine in tutti i 22 comuni della Sibaritide, di cui la metà
sarebbero a Corigliano. "C'è un clima di intolleranza crescente.
L'immigrato va bene la mattina quando viene schiavizzato, non va più
bene quando ritorna a casa dai campi o dal cantiere, dalle sei di sera
in poi", dice Angelo Sposato, segretario generale della Cgil del
Pollino, Sibaritide e Tirreno. Ad esempio qualcuno ha imbrattato con una
svastica, una croce celtica e la scritta "Fuori i mussulmani" le
saracinesche di fianco alla moschea della comunità marocchina di
Schiavonea.
"Il razzismo è una copertura". "In
un comune commissariato per mafia, in questo vuoto politico e
istituzionale, alcune forze parapolitiche captano la frustrazione dei
cittadini e veicolano il malessere verso gli immigrati", dice Biagio
Frasca, volontario dell'associazione "Un sogno per la strada". Angelo
Broccolo, presidente regionale di Sel, sottolinea: "abbiamo un problema
di xenofobia e razzismo per coprire situazioni di altra natura. Per
l'amministrazione precedente il problema della sicurezza era
l'immigrazione, ma dall'indagine giudiziaria emergono un'economia e una
società fortemente permeate dalla mafia imprenditrice. Qui la
'ndrangheta investe in loco".
Il business degli affitti in nero.
Molto redditizio è anche il business degli affitti in nero agli
stranieri. Un bracciante stagionale paga 120 euro al mese per un posto
letto in una casa sovraffollata. Un appartamento costa tra i 400 e i
1000 euro al mese. Una trentina di persone sono state costrette ad
accamparsi sulla spiaggia, dove hanno costruito tende fatte di teli di
plastica e materiali di recupero. Vivono nel terrore dello sgombero.
"L'anno scorso sono venuti con una ruspa e ci hanno portato via tutto"
racconta un giovane marocchino. Il parroco e le associazioni chiedono
che il comune metta a disposizione dei posti letto. fonte Repubblica.it
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