Giallo
su dove sono finite le armi di Zhukov. Portate in un sito segreto dopo
il trasferimento a Civitavecchia su un traghetto di linea. Guardia del
Moro liberata per la Nato o le armi sono state trasferite per essere
usate?
LA
MADDALENA. La magistratura seguirà la sua strada: definirà i profili di
responsabilità, verificherà l'eventuale violazione delle procedure di
sicurezza e chiarirà chi e perché ha deciso il trasferimento delle armi,
che nel 1994 erano destinate al mattatoio dei Balcani,
dall'isola-bunker di Santo Stefano a Civitavecchia su traghetti
passeggeri invece che su naviglio militare. Un'operazione che, al di là
della sua compatibilità con norme e regolamenti, appare a dir poco non
ortodossa se non addirittura molto discutibile. E che apre
inevitabilmente un fronte politico.
Le prime reazioni di alcuni parlamentari sardi come Gian Piero Scanu e
Giulio Calvisi, ma anche le preoccupazioni espresse dal presidente della
Regione Ugo Cappellacci sono infatti il segnale chiaro di un ritorno di
attenzione sulla questione più generale della presenza militare
nell'isola. Un dibattito che aveva raggiunto toni acuti e momenti di
confronto anche ruvido negli anni scorsi tra la Regione e il governo e
la Difesa, ma che si è poi progressivamente affievolito.
Negli ultimi mesi qualcosa ha ricominciato a muoversi, per dire la
verità, con l'inchiesta aperta dalla procura di Lanusei sulle attività
nel poligono interforze del Salto di Quirra e le sue pericolose ricadute
sul piano ambientale e della salute pubblica. E hanno alimentato
legittime preoccupazioni alcuni episodi inquietanti, come la presenza di
personale militare iraniano nel poligono di Teulada per testare
l'elicottero da combattimento Mangusta. Circostanza smentita dal comando
militare della Sardegna che ha però tenuto a chiarire che le attività
all'interno dei poligoni dipendono direttamente da Roma.
Il caso del trasferimento delle armi sequestrate all'oligarca russo
Alexander Borisovic Zhukov è però anche la premessa di un giallo
politico-militare ancora tutto da chiarire. Prima di tutto: si sa che
migliaia di kalashnikov, di razzi e di missili sono partiti dal
deposito-bunker di Guardia del Moro, a Santo Stefano, ma non si conosce
la loro destinazione. Perché, poi, questo trasferimento è stato deciso
proprio ora, cioè a sei anni dalla sentenza della Cassazione che assolse
per difetto di giurisdizione Zhukov e altre nove persone, tra le quali
l'imprenditore greco Kostantinos Dafermos, il trafficante ungherese
Gedda Mezosy e l'ex agente del Kgb Anatolij Fedorenko, considerato in
stretti rapporti con la Solnetsevskaja (Brigata del Sole), uno dei più
potenti clan della mafia russa?
La magistratura respinse la richiesta di Zhukov di riavere indietro
l'arsenale sequestrato (per un valore di decine di milioni di dollari)
sulla Jadran Express perché, al di là del mancato riconoscimento della
responsabilità penale degli imputati, le armi erano destinate alle
fazioni in lotta nella ex Jugoslavia e quindi era stato forzato,
illegittimamente per il diritto internazionale, il blocco imposto
dall'Onu.
La magistratura torinese dispose quindi la distruzione dell'immenso
arsenale che era stato stoccato nelle gallerie sotto roccia di Guardia
del Moro. Ma nessuno ha fino a oggi provveduto ad eseguire l'ordine.
Quelle armi sono rimaste così conservate a Santo Stefano, quasi a
legittimare l'utilità del deposito, proprio mentre si scatenavano
furenti polemiche sull'opportunità di dismettere Guardia del Moro e
restituire i terreni ai legittimi proprietari.
Ecco dunque la prima domanda che attende una risposta: perché le armi
non sono state distrutte? Ma aprendo gli archivi e rileggendo con
attenzione il caso della Jadran Express, si scopre che forse merita un
approfondimento anche il trasferimento delle armi da Taranto a Santo
Stefano, subito dopo il sequestro. Sì, perché pare che, come è accaduto
nelle scorse settimane, la Difesa anche allora si sia rivolta a
un'impresa privata specializzata nei trasporti. Da qui il dubbio che
anche negli anni Novanta, il trasporto dell'arsenale possa essere
avvenuto non su naviglio militare, ma su traghetti civili di linea.
C'è poi la domanda forse più importante: dove sono state realmente
trasferite le armi di Zhukov? Problema non secondario, questo. Ma ogni
risposta apre nuove domande. Per esempio: se sono state destinate alla
distruzione si deve capire perché lo si fa proprio ora, 17 anni dopo il
sequestro e sei anni dopo la sentenza della Cassazione.
Se invece sono destinate a essere stoccate in un altro deposito nella
Penisola, ne consegue in logico interrogativo: perché si è deciso di
sgomberare le gallerie di Guardia del Moro? Forse si è deciso di
destinarle a un nuovo utilizzo, visto che è stata già presentata la
domanda di rinnovo della servitù militare che scade nel febbraio del
prossimo anno? E se sì, c'entra qualcosa il crescente interesse della
Nato per creare un presidio nell'arcipelago maddalenino come si è
appreso nei mesi scorsi da alcune indiscrezioni?
C'è infine un'ultima ipotesi che però probabilmente non potrà mai avere
una risposta. Ipotesi fantasiosa, si dirà, ma che ha qualche
imbarazzante precedente storico. L'ammiraglio Fulvio Martini, che
diresse il servizio segreto militare (allora Sismi), ammise in
un'audizione davanti alla Commissione stragi del Parlamento il 6 ottobre
1999: «Negli anni 1985-1987 noi organizzammo una specie di colpo di
stato in Tunisia, mettendo Ben Alì alla presidenza e sostituendo
Bourghiba, ormai senescente, che voleva fuggire». Insomma, un "golpe
morbido" voluto e organizzato dal governo Craxi e attuato proprio dal
Sismi.
Martini usò molta prudenza, ma comunque ammise nella sostanza i fatti.
Rivelando così l'esistenza di quella politica parallela, occulta, che si
sviluppa fuori dai canoni dell'ortodossia diplomatica ufficiale. Per la
verità, uno 007 italiano che partecipò al golpe in Tunisia, nome in
codice G-71, parlò di un colpo di stato con momenti anche cruenti, anche
con il ricorso alle armi. Tutta questa premessa per ipotizzare un
possibile, ipotetico, utilizzo delle armi di Zhukov in uno scenario
internazionale. Magari nell'area africana.
di Piero Mannironi
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