quarto stato

venerdì 1 novembre 2013

Ricordando Pasolini...

Foto: Nella notte tra l'uno e il due Novembre, veniva barbaramente assassinato Pier Paolo Pasolini. Di anni ne sono passati 38 da quando fu commesso il delitto all'Idroscalo di Roma. 38 anni nella vana attesa di una verità processuale che ci consegni i veri autori dell'efferato crimine, che ci faccia conoscere il nome degli esecutori e dei mandanti che hanno messo a tacere "uno degli intellettuali più «scomodi» del Novecento, voce controcorrente e fuori dal coro, voce, spesso, anti-potere" come ha scritto ieri il Corriere della Sera.
Ciao PPP, io voglio ricordarti così, con dei versi scritti all'indomani della strage dell'11 settembre:

Sopra tre versi di Pasolini
(dopo il crollo delle Torri Gemelle)

Il mondo ha patteggiato il suo zero
l’esilio definitivo dei gigli.
Menzogne cadenti si staccano dalle labbra
impastano polvere e saliva
un pane rassegnato, gemente, già segnato
in una linea di qualche Preistoria futura
senza zolfo né fiamma né alito né voce di stella,
voce d’amore che fece
la vita nei secoli.

Avevi ragione tu:
“la morte non è
nel non poter comunicare
ma nel non poter più essere compresi”.

Ah l’ho vista,
arruffata di nodi e anestesie
la grigia testa della metropoli,
decapitata non per rinascere
ma perché continuasse obbediente
l’ordine feticcio del dare e dell’avere
in altri nuovi giorni di carnevale e dolore. 

Ed io là, figlio estremo della riva,
coi sensi tesi ad ascoltare i passi
della mia confusa visione
gli striduli ingranaggi d’una Eternità grande,
eppure dissacrata dalla morte:
enormi meccanici clisteri, giganteschi buffoni
e mani stupefacenti;
mani eroicamente inconsapevoli
abbandonate al vento testimone
di povere vittorie,
a quel loro dio che puzza
di polvere da sparo e possesso.

L’ho vista la tragedia dell’Essere,
il terrore improvviso di non essere
che incerto fumo, polvere
un’ombra disamorata al suo destino.
L’ho vista la civiltà, e ho visto le macerie
i neri invincibili acciai, la torreggiante
hybris padrona
ardere assieme ai vermi della ferocia seminata.
Povere anime ignare,
morte senza conoscere la morte,
senza sapere ch’era già reliquia
di morte la vita.

Povere anime sepolte sotto calcolate vendette,
rattrappite nel gelo di un sentimento perso: forse
anche chi vi piange non sa
che solo lacrime non bastano
per risalire vivi nuovamente ai vivi.
Sì, avevi ragione tu:
dietro le finestre dietro i balconi
nello spazio degli occhi
ciò che era perduto era azzurro.

da Non siamo ombre, monologhi e poesie 

Nella notte tra l'uno e il due Novembre del 1975, veniva barbaramente assassinato Pier Paolo Pasolini. Di anni ne sono passati 38 da quando fu commesso il delitto all'Idroscalo di Roma. 38 anni nella vana attesa di una verità processuale che ci consegni i veri autori dell'efferato crimine, che ci faccia conoscere il nome degli esecutori e dei mandanti che hanno messo a tacere "uno degli intellettuali più «scomodi» del Novecento, voce controcorrente e fuori dal coro, voce, spesso, anti-potere" come ha scritto ieri il Corriere della Sera.
Ciao PPP, io voglio ricordarti così, con dei versi scritti all'indomani della strage dell'11 settembre:


Sopra tre versi di Pasolini
(dopo il crollo delle Torri Gemelle)

Il mondo ha patteggiato il suo zero
l’esilio definitivo dei gigli.
Menzogne cadenti si staccano dalle labbra
impastano polvere e saliva
un pane rassegnato, gemente, già segnato
in una linea di qualche Preistoria futura
senza zolfo né fiamma né alito né voce di stella,
voce d’amore che fece
la vita nei secoli.

Avevi ragione tu:
la morte non è
nel non poter comunicare
ma nel non poter più essere compresi
”.

Ah l’ho vista,
arruffata di nodi e anestesie
la grigia testa della metropoli,
decapitata non per rinascere
ma perché continuasse obbediente
l’ordine feticcio del dare e dell’avere
in altri nuovi giorni di carnevale e dolore.

Ed io là, figlio estremo della riva,
coi sensi tesi ad ascoltare i passi
della mia confusa visione
gli striduli ingranaggi d’una Eternità grande,
eppure dissacrata dalla morte:
enormi meccanici clisteri, giganteschi buffoni
e mani stupefacenti;
mani eroicamente inconsapevoli
abbandonate al vento testimone
di povere vittorie,
a quel loro dio che puzza
di polvere da sparo e possesso.

L’ho vista la tragedia dell’Essere,
il terrore improvviso di non essere
che incerto fumo, polvere
un’ombra disamorata al suo destino.
L’ho vista la civiltà, e ho visto le macerie
i neri invincibili acciai, la torreggiante
hybris padrona
ardere assieme ai vermi della ferocia seminata.
Povere anime ignare,
morte senza conoscere la morte,
senza sapere ch’era già reliquia
di morte la vita.

Povere anime sepolte sotto calcolate vendette,
rattrappite nel gelo di un sentimento perso: forse
anche chi vi piange non sa
che solo lacrime non bastano
per risalire vivi nuovamente ai vivi.
Sì, avevi ragione tu:
dietro le finestre dietro i balconi
nello spazio degli occhi
ciò che era perduto era azzurro.

da
Non siamo ombre, monologhi e poesie, 2013

lunedì 21 ottobre 2013

Una storia ti attende...

ALPHA URSAE MINORIS - copertinaIl mio libro Alpha Ursae Minoris, romanzo in tre racconti,
ed. Montecovello, ora anche in ebook:

http://www.bookrepublic.it/book/9788867333837-alpha-ursae-minoris/

"Siamo all’inizio degli anni ’90 e grazie alla tenacia di un affiatato gruppo di giornalisti e al lavoro di alcuni coraggiosi magistrati si dipana l’inchiesta celata dietro un banale incidente stradale, dalla quale emergerà un traffico internazionale di scorie radioattive orchestrato dall’oscuro mondo dell’eversione, quello più invisibile (nel romanzo assume il nome beffardo di Club), fatto di “colletti bianchi“, multinazionali strutturate con sistemi a scatole cinesi, organizzazioni finanziarie, legami con le nuove mafie dell’est europeo.
Un mondo torbido che muove le sue pedine per asservire l’informazione, gli apparati economici e conquistare il potere sovvertendo l’ordinamento democratico italiano.
La trama del romanzo, pur essendo univoca la storia, si sviluppa lungo tre racconti, il primo dei quali ha come protagonisti Alberto, maturo direttore de L’Eco, Romeo e Luca, suoi amici e colonne portanti della redazione del giornale.
A Caterina De Simone, giovane e sensibile magistrato, cooprotagonista coi tre giornalisti del romanzo, è dedicato il secondo racconto. Pagine che ne ripercorrono la storia personale e intima di donna del Sud che provenendo da una terra di miserie e ingiustizie, ha fatto della legalità filo conduttore della sua vita.
Il lettore perverrà alla verità di questo intricato affaire solo nell’ultimo dei racconti, nel quale Luca, il giornalista amico di Alberto, assolverà al compito di tirare le fila della storia, inserendo nel puzzle narrativo quei tasselli necessari ad avere la visione d’insieme della vicenda.
Ed infine Alpha Ursae Minoris, la Stella Polare, la stella guida del cammino di ogni navigante - e vera protagonista -, scompare dal cielo, lasciandoci in balia di noi stessi, nella cecità di una condizione umana che ha smarrito il senso ultimo della propria umanità".

(dalla quarta di copertina) 

sabato 5 ottobre 2013

Versi di pietà e rabbia...

Questi versi con in cuore e nella mente la tragedia di Lampedusa...

"Un attimo prima che finisca"

Gigantesco
l’uccello dalla testa di cavallo
sta oscurando il sole.
E’ abbastanza pesante
da perpetuare la notte;
abbastanza preciso
per strapparci la pelle i sogni le speranze.
E noi, fra ruggini pene
e feticci, sordi e muti
ce ne stiamo qui,
immobili,
impietriti dalla paura e dalla febbre
con la dignità raccolta nel palmo della mano.
La nostra dignità
lentamente abbandonata
alle maree dell’agonia.

Fratello addormentato, svegliati!
il cuore non regge più
questo contare i giorni e le morti,
la luce illividita
nelle case che i popoli si portano sulla schiena
come fagotti lungo sentieri
di taglienti geografie.
Svegliati:
l’aquila delle tempeste è venuta,
nel ventre occidentale ha fatto il nido
cova uova perfette,
temibili più del fuoco fuso nell’acciaio,
più dell’oblioso canto delle sirene.
Sì svegliati!
Incappucciati sotto cieli di stelle liquefatte
ci siamo persi,
lo siamo da tanto
appesi al ramo secco
del dare e dell’avere
la notte ci ha nascosto
oceani di solitudine
lo zero in cui muoiono le nostre anime.

E' tempo ora di gettare la maschera!
Guardiamoci le mani, i vestiti, l’anima:
senza respiro senza una tregua
(tra barili di petrolio, vetrine illuminate e libertà
di carta)
siamo noi,
i magnifici soldati eletti
difensori del fortino,
gli sbandieratori di un’idea di possesso che ci
possiede,
a premere bottoni inesorabili;
nostre sono le lame
che gelide e precise uccidono
e scavano sempre nuova miseria.
Siamo noi,
con nei geni Vangelo e Rinascimento
che ostentiamo la Legge e il Diritto
come dizionari, noi
i democratici esportatori
dell’incubo e del veleno
in lontani sogni innocenti. Noi,
aggrappati alla realtà di una vita irreale
incapaci di vedere
nei nostri occhi il suicidio di dio.

Sì fratello svegliati,
un attimo prima che finisca
questo tempo di incosciente anestesia
perché il dolore, che ti vide silenzioso
complice, all’improvviso viene e urla
il tuo nome,
lasciandoti sullo spiazzo delle capre,
più folle di ogni follia.

Vladimiro Forlese

Un numero al posto del nome...

"LAMPEDUSA - 
Un morto, un numero, un "presumibilmente" che racconta tutta una vita. Morto numero 31, maschio, nero, presumibilmente trent'anni. Morto numero 54, femmina, nera, presumibilmente vent'anni. Morto numero 11, maschio, nero, presumibilmente tre anni. 
Presumibilmente: è tutto quello che sappiamo di loro camminando fra i cadaveri di Lampedusa dopo che il mare ce li ha portati. Sembrano manichini quelli che vedo allineati e nascosti in sacchi neri e azzurri, bianchi, grigi, verdi. Da un telo viene fuori un gomito, da un altro esce un piede, c'è una mano, un naso, un seno, c'è una scarpa, una sciarpa, un orecchio. Carcasse, centoundici carcasse che adesso sono lì immobili e nella loro immobilità sembrano disperarsi, implorare, maledire. Presumibilmente, questa parola l'abbiamo sentita ripetere centoundici volte oggi". (Repubblica.it)
 

giovedì 3 ottobre 2013

Strage Lampedusa, firma appello...

Naufragio a Lampedusa
Appello per l'apertura di un canale umanitario per il diritto d'asilo europeo
Per adesioni: Progetto Melting Pot

Ai Ministri della Repubblica, ai Presidenti delle Camere, alle istituzioni europee, alle organizzazioni internazionali

A cadenza ormai quotidiana la cronaca racconta la tragedia che continua a consumarsi nel mezzo del confine blu: il Mar Mediterraneo.
Proprio in queste ore arriva la notizia di centinaia di cadaveri raccolti in mare, ragazzi, donne e bambini rovesciati in acqua dopo l’incendio scoppiato a bordo di un barcone diretto verso l’Europa.
Si tratta di richiedenti asilo, donne e uomini in fuga da guerra e persecuzioni, così come gli altri inghiottiti da mare nel corso di questi decenni: oltre 20.000.

Lo spettacolo della frontiera Sud ci ha abituato a guardare l’incessante susseguirsi di queste tragedie con gli occhi di chi, impotente, può solo sperare che ogni naufragio sia l’ultimo. Come se non vi fosse altro modo di guardare a chi fugge dalla guerra che con gli occhi di chi attende l’approdo di una barca, a volte per soccorrerla, altre per respingerla, altre ancora per recuperarne il relitto.
Per questo le lacrime e le parole dell’Europa che piange i morti del confine faticano a non suonare come retoriche.

Perché l’Europa capace di proiettare la sua sovranità fin all’interno del continente africano per esternalizzare le frontiere, finanziare centri di detenzione, pattugliare e respingere, ha invece il dovere, a fronte di questa continua richiesta di aiuto, di far si che chi fugge dalla morte per raggiungere l’Europa, non trovi la morte nel suo cammino

Si tratta invece oggi di "esternalizzare" i diritti. Di aprire, a livello europeo, un canale umanitario affinché chi fugge dalla guerra possa chiedere asilo alle istituzioni europee in Libia, in Egitto, in Siria o lì dove è necessario (presso i consolati o altri uffici) senza doversi imbarcare alimentando il traffico di essere umani e il bollettino dei naufragi.

Nessun appalto dei diritti, nessuna sollevazione di responsabilità ai governi europei., piuttosto la necessità che l’Europa si faccia veramente carico di evitare queste morti costruendo una presenza diretta e non terza che, fin dall’interno dei confini africani, possa raccogliere le richieste di chi chiede protezione per poi accogliere sul suolo europeo chi fugge ed esaminare qui la sua domanda.

Alle Istituzioni italiane, ai Presidenti delle Camere, ai Ministri della Repubblica, chiediamo di farsi immediatamente carico di questa richiesta.
Alle Istituzioni europee di mettersi immediatamente al lavoro per rendere operativo un canale umanitario verso l’Europa.
Alle Associazioni tutte, alle organizzazioni umanitarie, ai collettivi ed ai comitati, rivolgiamo l’invito di mobilitarsi in queste prossime ore ed in futuro per affermare
IL DIRITTO D’ASILO EUROPEO

Prime sottoscrizioni:
Progetto Melting Pot Europa
Associazione Culturale Askavusa, Lampedusa
Arci Immigrazione
CGIL
Campagna LasciateCIEntrare
Medici per i Diritti Umani
Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR)
Prendiamo La Parola
ZaLab
Rifondazione Comunista
SEL (Sinistra Ecologia e Libertà)
Rete Antirazzista Catanese
Associazione Antigone
Associazione Lunaria
Associazione Articolo21
Terre des Hommes
Ambasciata dei Diritti Marche
Esc-Infomigrante, Roma
ADL Cobas
Associazione Razzismo Stop, Padova
Aps Garibaldi 101
Movimento migranti e rifugiati
Terra del fuoco
PRIME Italia
Osservatorio Carcere UCPI
Class Action Procedimentale
Unione forense per la tutela dei diritti umani
Associazione "Solidarite Nord Sud" ONLUS
Voice off Onlus
Opera Nomadi di Padova Onlus
Comitato No Muos Milano
Associazione Volontari per la Protezione Civile ASTRA
Associazione Finis Terrae Onlus
Casa Internazionale delle Donne di Roma
Centro sociale Bruno, Trento

Ennesima strage di migranti in mare



Un barcone carico di migranti è naufragato a Lampedusa. Il bilancio  è per ora di 94 vittime, ma aumenta di ora in ora: tra i morti ci sono anche due donne incinte e tre bambini. Il relitto è stato ritrovato inabissato sui fondali e al suo interno ci sarebbero almeno cento cadaveri, secondo i soccorritori, in maggioranza di donne e bambini. I cadaveri recuperati dall'alba sono stati trasportati in un hangar dell'aeroporto perché non c'è più posto nella camera mortuaria. In tutto sono 151 i superstiti della tragedia, ma secondo i soccorritori "mancano all'appello 250 persone".
Il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini ha inviato un telegramma al premier Enrico Letta: "Venga a contare i morti con me", e sullo sfondo le accuse di alcuni superstiti: "Tre pescherecci ci hanno visto e non si sono fermati".
Il barcone s'è inabissato ed è stato individuato sul fondale intorno a mezzogiorno: in mare sono stati trovati giubbotti salvagente, pezzi di legno e macchie di olio. Il naufragio sarebbe stato forse causato da un incendio a bordo. Disperati i soccorritori sui quattro pescherecci che hanno recuperato i corpi: "Ci sono morti ovunque", una testimonianza raccolta e riportata dal sindaco, che a Sky Tg24 ha anche annunciato l'arresto di uno scafista.  "E' un orrore - ha detto anche il primo cittadino - ci vorrebbero le telecamere per mostrare quel che sta accadendo".

link:
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/10/03/foto/strage_di_lampedusa_il_barcone_della_tragedia-67817203/1/#1

http://www.repubblica.it/cronaca/2013/10/03/foto/le_tragedie_del_mediterraneo-67811037/1/

giovedì 5 settembre 2013

Ci siamo proprio...

Ecco la copertina definitiva di Alpha Ursae Minoris.
Adesso manca solo il lancio finale e poi...
E poi, sarà quel che sarà. Mi piacerebbe un giorno entrando in libreria o salendo in autobus o in treno e scorgere qualcuno con il mio libro tra le mani...


sabato 10 agosto 2013

Mi dico in bocca al lupo!




Ci siamo quasi... finalmente tra poche settimane il mio romanzo di esordio
Alpha Ursae Minoris
sarà in libreria

mercoledì 3 luglio 2013

Poeti Contemporanei

Mi permetto di segnalare agli amici l'uscita di una nuova antologia edita da Pagine edizioni nella quale sono collocato anch'io.

http://www.poetipoesia.com/poeti-contemporanei-7-autori/78/


e di richiamare l'attenzione anche sull'altra antologia, sempre edita da Pagine:

http://www.poetipoesia.com/ebooks/114-i-poeti-contemporanei/

Per chi fosse interessato all'acquisto, ecco il link:
http://www.poetipoesia.com/autore/vladimiro-forlese/ 

mercoledì 26 giugno 2013

Costa fatica far girare il sole

'Nonostante i veleni, i naufragi e le agonie della nostra sciagurata epoca, lo scopo era e resta la poesia. Purchè, ci ricorda con efficacia l'autore, sia d'ardito alfabeto così che dalle tempeste poche briciole di quiete e bellezza ci aiuti a raccogliere'.(dalla prefazione al libro)

Non siamo ombre, monologhi e poesie

No, 'Non siamo ombre' nonostante la forza di un sapere/potere decadente che ha cambiato - parafrasando Pasolini - il sentimento, la percezione della realtà. Sono versi per resistere...

Alpha Ursae Minoris

Alpha Ursae Minoris: ambientato agli inizi degli anni '90 in alcune città del nord dell'Italia. I protagonisti sono tre giornalisti e una giovane giudice alle prese con un'inchiesta che rivelerà una complessa vicenda legata sia al traffico internazionale di rifiuti nucleari, che a oscure trame di circoli e organizzazioni eversive rivolte a sovvertire le regole e l'ordinamento democratico con l'intento della conquista del potere.

Alpha Ursae Minoris è il nome scientifico della Stella Polare, la stella amica e guida di ogni navigante che invece, a seguito delle vicissitudini di ciascuno dei protagonisti, scompare dal cielo lasciando un buco nero in fondo al timone dell'Orsa Minore...

lunedì 18 febbraio 2013

Uranio impoverito, l'ultima beffa




Dopo le troppe morti sospette di soldati e non, nel 2009 il ministero della Difesa aveva creato un comitato di prevenzione e controllo. Quattro anni dopo, si scopre che non ha fatto nulla, tranne distribuire soldi in modo non trasparente.

Il poligono di Quirra, in Sardegna


Era nato tra grandi speranze e con una missione importante e delicata: studiare i fattori di rischio per la salute dei militari impegnati in missioni internazionali e nei poligoni, su forte impulso della penultima Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito.
Eppure dal 2009, anno del suo insediamento, il Comitato di prevenzione e controllo delle malattie istituito presso il ministero della Difesa, è accusato di aver inciso poco o nulla sulla questione per la quale è stato costituito. Avendo assunto, come unica iniziativa significativa, la pubblicazione di un bando milionario destinato a finanziare alcuni dei suoi componenti.

E' un passaggio della relazione finale dell'ultima Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito a mettere nero su bianco e in modo esplicito le perplessità per l'operato del Comitato, istituito nel 2007 dall'allora ministro della Difesa Arturo Parisi sulla scia delle testimonianze dei soldati italiani affetti da gravi patologie dopo essere stati impegnati nei poligoni sardi o in missioni internazionali, spesso senza essere dotati delle stesse protezioni in uso alle forze alleate.

La Commissione d'inchiesta, nel testo pubblicato poche settimane fa, esprime un giudizio severo sull'attività finora svolta dai componenti dell'organismo in questione e parla di «scarsi risultati conseguiti». Ma non si ferma qui.

L'unica iniziativa significativa assunta dal Comitato, fa notare la relazione firmata dal presidente della Commissione Rosario Giorgio Costa, è stata la pubblicazione di un bando per l'assegnazione di fondi a carico del Ministero della Difesa e destinati a sostenere progetti di ricerca.

Tra i sette finanziati, per un costo totale di quasi 3 milioni di euro, due fanno capo a membri del Comitato e un terzo è stato assegnato al coordinatore delle strutture operative e di ricerca che agiscono per conto dello stesso organismo.

Si tratta di un milione di euro, soldi destinati a finanziare l'attività di ricerca svolta dalla dottoressa Antonietta Gatti e dai professori Massimo Zucchetti e Raffaele D'Amelio, quest'ultimo operante nelle vesti, appunto, di coordinatore.
Si va dai 650 mila euro ottenuti dal professor D'Amelio per il progetto triennale riguardante «la sicurezza, immunogenicità ed efficacia delle vaccinazioni nel personale militare», ai 202 mila euro previsti per la ricerca della dottoressa Gatti «sull'esposizione alle nanoparticelle ambientali in modelli vegetali», passando per il 100 mila euro richiesti per un progetto biennale, l'ennesimo sulla «tossicità dell'uranio impoverito» dal professor Zucchetti. Somme che sono in gran parte già state erogate.

Anche se si tratta di nomi scientificamente autorevoli, sono gli stessi commissari a storcere il naso di fronte alla procedura seguita per l'assegnazione del denaro:  «La Commissione d'inchiesta ritiene che tale procedimento presenti caratteristiche di inadeguatezza nella valutazione e scarsa trasparenza»

A leggere i nomi dei professori finanziati salta agli occhi anche altro: due di loro risultano essere stati anche consulenti della Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito. Si tratta della dottoressa Gatti e del professor Zucchetti, studiosi di fama mondiale che - mentre collaboravano gratuitamente con i senatori per aiutarli a individuare le responsabilità del ministero della Difesa nelle morti e nelle malattie contratte dai soldati italiani - hanno beneficiato dei fondi elargiti dal Ministero stesso. Nonostante l'autorevolezza degli esperti e la qualità degli studi, la presenza di un potenziale conflitto d'interessi non passa inosservata.

A spulciare l'elenco dei sette studi foraggiati dal Comitato per la Prevenzione ci si imbatte anche in un progetto sulla «incidenza della patolologia neoplastica tra il personale militare e civile operante nel poligono di Salto di Quirra dal 1990 al 2005».

Un tema delicato, alla luce dei molti militari deceduti dopo aver prestato servizio nel poligono sardo. Morti sulle quali la procura di Lanusei ha avviato un'inchiesta nel 2011 per disastro ambientale e omissioni dolose.  

A ricevere il finanziamento del ministero è stato il professor Pierluigi Cocco, per anni il medico competente del poligono, tra le 20 persone per cui i magistrati hanno chiesto il rinvio a giudizio. E' accusato, insieme al sindaco di Pedasdefogu Walter Mura, di aver diffuso 'informazioni sanitarie false' su tutta l'area del poligono mettendo a repentaglio la salute pubblica.
A fronte di un'iniziale richiesta di 266.500 euro al professor Cocco è stato accordato un finanziamento di 170 mila euro.

«Ho segnalato e denunciato la vicenda a Monti e al ministro della Difesa», dice il senatore uscente dell'Idv Giuseppe Caforio, che non sarà ricandidato alle prossime elezioni, «ma nessuno mi ha mai risposto».

(fonte: L'Espresso, a firma di Martino Villosio e Salvatore Ventruto)

link:  http://inchiestauranio.blogspot.it/2013/02/erasmo-savino-morto-nellindifferenza.html

martedì 8 gennaio 2013

L'unica industria non in crisi: quella delle armi...


C'è un'industria che non è in crisi, quella delle armi (Foto di Ammar Abd Rabbo da Flickr) (immagini di Fabrizio Ricci)

C'è un settore industriale per il quale la crisi sembra essere già finita, è l'industria bellica europea che, dopo il calo del 2010, vede aumentare del 18,3% gli ordinativi ai paesi dell’Unione Europea per esportazioni di sistemi militari. Nel 2011 (ultimo dato disponibile) la domanda di armi rivolta all'Ue ha superato i 37,5 miliardi di euro (erano 31,7 miliardi nel 2010). I dati sono diffusi dal sito Unimondo.org, che li ha elaborati dall'ultimo rapporto dell'Ue.

Da qui si apprende che crescono soprattutto le autorizzazioni all'esportazione di armi (“licences”) verso le zone di maggior tensione del pianeta (Medio Oriente e Asia), mentre diminuiscono quelle verso gli Usa. Aumentano anche le consegne effettive di materiali militari: ma su queste il Rapporto dell’UE non presenta i dati perché diversi paesi (tra cui Germania e Regno Unito) non li hanno resi noti.

Ma anche l'Italia, secondo l'articolo di Giorgio Beretta pubblicato su Unimondo.org, non eccelle in trasparenza.“Forse – si legge - per adeguarsi allo standard tedesco, il governo tecnico italiano ha pensato di manipolare un po’ le cifre: a fronte degli oltre 2,6 miliardi di consegne riportate nella Relazione governativa nazionale, i funzionari governativi hanno riferito all’UE solo poco più di 1 miliardo. Un “errore” che solleva più di qualche interrogativo sulla trasparenza del Governo Monti in questioni militari”. Inoltre, secondo Unimondo, "gli ultimi due governi italiani (Berlusconi e Monti) appaiono molto simili riguardo alla comunicazione sull’export di armi: non segnalando all’UE le specifiche tipologie nelle consegne di armamenti hanno entrambi mantenuto un prudente riserbo sui sistemi d’arma effettivamente esportati dall’Italia".


Più nel dettaglio, i dati riportati dal sito di informazione indipendente, segnalano una forte ripresa delle esportazioni europee verso i paesi asiatici (dai 4,7 miliardi del 2010 agli oltre 5,5 miliardi di euro del 2011) e, in particolar modo verso il Medio Oriente (da 6,6 miliardi a quasi 8 miliardi di euro). In crescita anche le esportazioni verso l’Africa sub-sahariana che superano i 493 milioni di euro. In calo sono  invece soprattutto le autorizzazioni all’esportazione verso l’America settentrionale (erano 4,6 miliardi nel 2009, sono 3,6 miliardi di euro nel 2011), l’America centro-meridionale, oltre che verso i paesi del Nord Africa verso i quali però, nonostante il 2011 sia stato l’anno delle rivolte popolari della cosiddetta “primavera araba”, i paesi europei hanno autorizzato esportazioni di armamenti per oltre 1,2 miliardi di euro.

Nel 2011, il principale cliente delle industrie militari europee non sono gli Stati Uniti
(solo 3,2 miliardi di euro a fronte dei 3,5 miliardi del 2010 e dei 4,3 miliardi nel 2009), ma l’Arabia Saudita: alla monarchia saudita i paesi europei hanno autorizzato esportazioni di sistemi militari per oltre 4,2 miliardi di euro, di cui soprattutto dal Regno Unito (oltre 2 miliardi) per i caccia Eurofighter Typhoon, “una commessa dai contorni alquanto torbidi – osserva Unimondo - e che riguarda anche le aziende italiane”. Restando nell’area, spiccano le commesse degli Emirati Arabi Uniti (1,9 miliardi di euro): in una parola, semplifica ancora il sito di informazione pacifista, “le monarchie assolute mediorientali sono i principali clienti dell’industria armiera europea e le armi continuano ad essere la merce di scambio privilegiata dei paesi europei per pagare la propria bolletta energetica”.

Non è un caso, quindi – scrive ancora Beretta - che nonostante le rivolte popolari del 2011, siano state autorizzate esportazioni di armamenti anche ad paesi con ampie riserve energetiche e di risorse minerarie come l’Algeria (815 milioni di euro di cui oltre la metà dall’Italia) e il Marocco (335 milioni di euro, soprattutto dalla Francia). Ma stupiscono – vista la violenza della repressione e del conflitto – le autorizzazioni all’esportazione di armi europee verso l’Egitto (303 milioni di euro), la Tunisia (16,5 milioni) e addirittura la Libia che era sotto embargo nel 2011 (34 milioni di euro di cui 17 milioni di euro tra missili, razzi e bombe dalla Francia).

Le armi continuano ad essere merce esportata dai paesi dell’UE anche in altre zone di forte tensione come India (1,5 miliardi di euro) e Pakistan (410 milioni di euro) e finanche l’Afghanistan – un paese tuttora sotto embargo parziale di armi – che nel 2011 ha visto un record di importazioni militari dai paesi UE: oltre 465 milioni di euro di cui 346 milioni di euro dall’Estonia per generici “energetic materials”.
di
rassegna.it

sabato 5 gennaio 2013

Agromafia e caporalato

Analisi

Il caporalato tra passato e presente 

Edilizia e agricoltura: 550mila sotto caporale (foto da Terranews.it) (immagini di Davide Orecchio)Il caporalato è un fenomeno apparentemente antico che caratterizza tuttora le campagne italiane. Non solo quelle meridionali, dove esso sembra più appariscente, ma anche quelle del Centro-nord del Paese. Credevamo che tale metodo di ingaggio della manodopera si fosse attenuato nel tempo, invece è tornato negli ultimi quindici-venti anni in forme particolarmente virulente.
Come è stato possibile? Ci sono delle differenze sostanziali tra il caporalato del passato e quello “globalizzato” dei giorni nostri. Quest’ultimo si è adeguato e adattato ad alcuni radicali processi sociali in atto, in particolare l’erompere dei flussi migratori; e ha prodotto in molti casi una degenerazione dello sfruttamento in schiavismo. C’è un profonda differenza tra i braccianti di oggi e quelli di ieri, quelli di Giuseppe Di Vittorio e di Placido Rizzotto, quelli che hanno lottato per l’imponibile di manodopera, hanno partecipato alle occupazioni delle terre e si sono scontrati contro condizioni di lavoro e di vita inique.
Un tempo i “cafoni” condividevano con il caporale il medesimo orizzonte sociale e culturale, la medesima lingua, le medesime contrade (non sempre, come vedremo nell’ultimo paragrafo, eppure in buona parte è stato così). Pur schierati su versanti contrapposti, appartenevano allo stesso paese, o comunque alla stessa provincia, alla stessa regione. Pertanto venivano a stabilirsi con il caporale, e quindi con il proprietario terriero alle sue spalle, dei rapporti di forza codificati. Certo, c’erano la fame, la malaria, la mortalità infantile, i soprusi, il sotto-salario, la repressione sistematica di ogni moto di ribellione... La “civiltà contadina” è stata anche questo, e non voglio affatto minimizzare un cumulo di violenze peraltro vittima di oblio nell’Italia contemporanea.
Tuttavia oggi accade qualcosa di profondamente diverso. I braccianti stranieri, soprattutto quando stagionali, percepiscono le nostre campagne come una “terra di nessuno” con cui non hanno niente a che spartire: una terra di cui non condividono la lingua, non conoscono le leggi scritte e quelle non scritte. Anche quando si insediano nelle borgate e nei casolari intorno ai paesi, non c’è alcuna forma di integrazione con il loro tessuto urbano e sociale. C’è una distanza siderale: ogni chilometro ne vale cento; ed è proprio questa estraniazione a generare la profonda vulnerabilità che alimenta lo sfruttamento più crudo.

Benché tutto il caporalato non sia riconducibile a forme di neo-schiavismo, sempre più spesso esso si manifesta in casi eclatanti di riduzione in schiavitù, in vari gradi di “soggezione continuativa”, come questa viene definita nell’articolo 600 del Codice penale. “La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione”, vi si legge, “ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.” Riproducendosi su larga scala, e per migliaia di lavoratori, tale “soggezione continuativa” diviene elemento strutturale del lavoro agricolo (e, in misura meno appariscente ma ugualmente grave, in altri ambiti come l’edilizia).

I nuovi caporali

Oggi l’organizzazione gerarchica del caporalato è composta da una fitta reti di capi, caporali e sotto-caporali spesso in contatto tra loro da regione a regione. Come racconta Yvan Sagnet, portavoce dei braccianti che hanno organizzato lo sciopero di Nardò nell’estate del 2011 e oggi impegnato nella Flai-Cgil, in Puglia: “ci sono i caporali e ci sono i sotto-caporali. Perché i caporali non possono gestire tutto. Il caporale può avere quattro o cinque campi di raccolta e manda i suoi assistenti a gestire i lavoratori. Ha una squadra, ha gli autisti, degli assistenti, ha i cuochi.

A Nardò c’era il ‘capo de capi’, era un tunisino. Poi c’erano altri caporali che lavoravano per lui. Ci sono varie tipi di nazionalità in particolare africani. Il capo dei capi manda il caporale a gestire gli altri capi. Al capo dei capi spetta una percentuale su ogni cassone, ma il grosso rimane al caporale. Questi è quasi autonomo rispetto al primo livello. Nell’agro di Nardò, c’erano tra i 15 e 20 caporali e controllavano tra i 500 e i 600 lavoratori”.


In cosa le condizioni descritte da Sagnet differiscono da quello che possiamo definire “caporalato classico”? Gli ambiti di sfruttamento, minaccia e ricatto sembrano essersi ampliati, sono diventati sempre più capillari nelle varie sfere della vita quotidiana dei lavoratori agricoli, che dipendono in tutto e per tutto dai caporali, non avendo altre reti a cui far riferimento. Il controllo dei caporali si estende spesso agli stessi alloggi in cui dormono. È questa la principale differenza tra vecchie e nuove forme del caporalato.
Un ulteriore elemento di novità del caporalato “globale” rispetto a quello “classico” è che la provenienza geografica dei caporali è divenuta una variabile che incide fortemente sul reclutamento dei braccianti. Sempre Sagnet racconta che “il mio caporale era sudanese. E qui funziona per nazionalità, prima vengono quelli della nazionalità del caporale, e poi gli altri. Funziona così anche con i tunisini, con i nigeriani”. E lo stesso accade per i lavoratori provenienti dall’Europa dell’est, a volte vittime di condizioni di sottomissione ancora maggiori. Come detto, i nuovi braccianti agricoli non possono far riferimento a quelle che in sociologia si chiamano reti sociali “dense”.
Lo sfruttamento avviene in condizioni di profonda solitudine, o comunque di isolamento. Ovviamente, negli ultimi vent’anni il nuovo caporalato non solo si è intrecciato con i nuovi flussi migratori, traendo vantaggio dal bisogno di occupazione di larghe masse di lavoratori. È stato oltremodo favorito dalla legislazione in materia di immigrazione. La Bossi-Fini è stata spesso un potente alleato dei caporali, rendendo i lavoratori (specie se sprovvisti di un permesso di soggiorno) oltremodo ricattabili davanti ai propri sfruttatori.

Tantissimi lavoratori sono stati denunciati come “irregolari”, dopo essere stati sfruttati dai loro stessi caporali. Tantissimi altri si sono affidati ai “signori della regolarizzazione”, offrendo diverse migliaia di euro per un permesso di soggiorno (il semplice pezzo di carta) in cambio di un lavoro che rimaneva il medesimo. Quando i braccianti abitano in casolari isolati o in tendopoli auto-costruite lontane dai centri abitati, tale invisibilità alimenta la loro vulnerabilità. È alla luce di tutto ciò che vanno valutate le nuove misure varate nel settembre del 2011 (introduzione del reato di caporalato) e nel luglio del 2012 (concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che denunciano i propri sfruttatori).

Tali misure sono di enorme importanza. Per la prima volta in Italia viene formulato giuridicamente il concetto di grave sfruttamento lavorativo: qualcosa cioè che, anche qualora non giunga alle forme estreme di riduzione in schiavitù, è comunque molto più grave del semplice “lavoro nero” o della sola evasione contributiva. E per la prima volta viene offerta una via d’uscita a tutti quei lavoratori ricattati dalla condizione di clandestinità. Tuttavia tali norme possono divenire davvero efficaci, solo se la cappa di vulnerabilità e invisibilità verrà rotta anche sul piano culturale, sociale, economico, sindacale. 

La lezione di Di Vittorio
Tuttavia tra passato e presente ci sono anche profonde analogie da cui trarre importanti insegnamenti. Non solo la giornata-tipo di un bracciante del ventunesimo secolo è tremendamente simile a quella di un bracciante dei primi del Novecento (basta leggere ad esempio le testimonianze “di ieri” raccolte in “La memoria che resta. Vita quotidiana, mito e storia dei braccianti nel Tavoliere di Puglia” di Giovanni Rinaldi e Paola Sobrero, Edizioni Aramirè, per accorgersi come l’universo materiale, la fame, l’assenza di acqua, l’inospitalità dei casolari, i metodi del dominio siano spesso i medesimi).


C’è un’altra analogia da interrogare, e in buona parte porta a vedere sotto nuova luce quanto detto finora: anche ai primi del Novecento il lavoro agricolo era strettamente intrecciato ai flussi migratori. Non erano flussi globali, beninteso, bensì intraregionali o al massimo interregionali. Ma in alcuni casi mettevano a dura prova - proprio come oggi - il rapporto tra lavoratori “locali” e “forestieri”. Giuseppe Di Vittorio prestò sempre molta attenzione al nesso tra lavoro e flussi migratori, come dimostra un recente libro edito da Donzelli, “Le strade del lavoro”, a cura di Michele Colucci. Vorrei porre l’attenzione sul primo scritto raccolto nel volume, una lettera indirizzata al direttore del “Corriere delle Puglie” nell’aprile del 1914 a proposito dei fatti di Colapatella. Cosa era accaduto? Nella masseria di Colapatella, a pochi chilometri da Cerignola, in provincia di Foggia, c’era stato un sanguinoso scontro tra lavoratori locali e lavoratori “forestieri” provenienti dalla provincia di Bari, che aveva lasciato in mezzo ai campi un morto e diversi feriti. Alle spalle di tanta violenza tra gli stessi lavoratori, vi era la particolare struttura del lavoro agricolo nella Puglia di primo Novecento. 

 Nonostante le profonde differenze tra ieri e oggi già analizzate, in genere si pensa che il “lavoro migrante” sia approdato in agricoltura solo negli ultimi quindicivent’anni con l’arrivo nelle nostre campagne dei braccianti stranieri, africani o esteuropei, che hanno rimpiazzato i vecchi braccianti pugliesi, siciliani, calabresi; e si deduce che l’intreccio tra vulnerabilità dei nuovi arrivati, scarsa sindacalizzazione, paghe da fame e casi di grave sfruttamento lavorativo sia una fatto relativamente recente. Come se prima, un secolo fa, a lavorare la terra e a raccogliere i suoi frutti, fossero unicamente braccianti stanziali, residenti a pochi chilometri dai fondi agricoli, “etnicamente” compatti. Molte volte non era affatto così.

Il Tavoliere era una complessa area d’immigrazione anche un secolo fa. Solo che allora gli “stranieri” che approdavano nell’agro di Cerignola perché a casa loro soffrivano la fame provenivano dalle altre province pugliesi, seguendo massicce migrazioni stagionali molto simili a quelle attuali. Da dove nasceva il dissidio? Mentre i braccianti cerignolani erano da tempo organizzati in una Lega combattiva, che aveva ottenuto (almeno in parte) il rispetto dei propri diritti e un sostanziale aumento delle retribuzioni, i “forestieri” provenienti dalla provincia di Bari - scarsamente organizzati - accettavano di lavorare anche per 40-50 centesimi in meno al giorno, all’epoca una cifra enorme. Ovviamente i proprietari terrieri, e i loro “suprastanti”, avevano tutto l’interesse a ingaggiare questi ultimi per indebolire la Lega. Da qui gli scontri sanguinosi.  

L’intelligenza di Di Vittorio fu nell’intuire che il lavoro migrante è connaturato all’essenza stessa dell’agricoltura stagionale, e che ogni forma di organizzazione sindacale - nata per unire tutti i lavoratori - ne avrebbe dovuto tenere conto. Era inutile accusare i nuovi arrivati di crumiraggio: il problema era semmai trovare il modo di ricostituire un’alleanza plurale tra diversi lavoratori, informandoli sui loro diritti soprattutto nelle province di partenza, interpretando lo stesso sindacato come una struttura “migrante” dal momento che deve avere a che fare con dei lavoratori “migranti”. Ma di quale Puglia stiamo parlando, di quella di un secolo fa o di quella dei giorni nostri? Stiamo parlando di entrambe, e risiede proprio in questo il grande interesse degli scritti di Di Vittorio. Da qui occorre ripartire per disegnare nuove forme di intervento e analisi. Lottare contro il caporalato vuol dire innanzitutto comprendere il mondo che ci circonda. Cogliere tutti i nessi possibili tra passato e presente. 
di Alessandro Leogrande
dal sito di http://www.rassegna.it/articoli/2012/12/21/95486/il-caporalato-tra-passato-e-presente

[il pezzo qui riprodotto è un estratto di Agromafia e caporalato, il primo rapporto sull'Italia. La ricerca dell'Osservatorio Placido Rizzotto presentata dalla Flai Cgil, il sindacato del settore agroalimentare. L'illegalità è in continua espansione. 400mila persone vittime del caporalato. 27 clan nel business dell'agro- ed ecomafia. Il rapporto si può scaricare integralmente in formato digitale (pdf) nello shop di rassegna.it, al prezzo di 2,99 euro].