Oggi, nel giorno decretato a lutto nazionale in ossequio delle vittime del sisma in Emilia Romagna, mi ha particolarmente colpito la notizia appresa da una delle inviate di Rainews: terminate le autopsie sui cadaveri del terremoto i corpi possono finalmente essere restituiti alle famiglie per la sepoltura. Tutti meno uno, tutti meno il corpo di Li Hongli Zhou, destinato a restatare nelle celle di medicina legale, in quanto non reclamato da alcun parente.
Già nei scorsi giorni Annamaria Rivera sul Manifesto, nel suo articolo
sui crolli dei capannoni, ricordando i lavoratori sepolti dalle macerie,
scriveva: "dell’ultima vittima di nazionalità “straniera” non sappiamo
altro se non
che si chiamava Li Hongli Zhou, morto a Mirandola mentre cercava di
fuggire dal crollo della sua casa".
E a distanza di giorni quel "non sappiamo altro se non che.." è restato ancora solo un nome, Li Hongli Zhou, un corpo non reclamato da nessuno, un nome/numero di cui nessuno sa niente.
Mi chiedo: come è possibile, dopo essere stato estratto dalle macerie di una casa, le autorità italiane e, di converso, quelle dello Stato di appartenenza non abbiano provveduto a fare ricerche affichè la notizia della morte dello sfortunato migrante pervenisse ai suoi familiari? Capisco che nella concitazione e nel caos del momento qualcosa non abbia funzionato al meglio, ma a distanza di giorni un tale inumano ritardo è francamente intollerabile.
Forse non sapremo mai quali affetti della vita di quest'uomo il terremoto ha spezzato: scorrendo le cronache dei vari giornali, nessuno ce ne rammenta l'età e nemmeno se fosse sposato e se avesse figli. Sappiamo solo che la morte lo accomuna ad altri e, per una volta, intreccia senza distinzioni etniche, il suo destino a quello di altri italiani e di altri lavoratori migranti come lui.
Già, migranti, lavoratori uccisi dalla "malaedilizia", di cui oggi i mezzi d’informazione arrivano perfino a fornire nome e
cognome, a corredare la notizia della morte con qualche cenno
alle loro biografie, sottraendole così, per una volta, al magma
dell’alterità indistinta in cui di solito annegano l’individualità dei
migranti.
Chissà se quando l’attenzione e la commozione si saranno spente,
torneranno a parlare di “extracomunitari”, “clandestini”, “individui di
etnia cinese”, “delinquenti di etnia latino-americana” (cito alla
lettera).
Noi, invece, dovremmo far tesoro della lezione che la
catastrofe ci consegna: i meteci – inclusi nell’economia, ma esclusi da
diritti civili e politici, perfino da alcuni diritti sociali – sono
parte integrante della classe operaia, così negletta eppure così
indispensabile e valorosa. Occorre battersi
non solo contro il progetto di seppellire l’articolo 18 e altri diritti
fondamentali, ma anche affinché i meteci possano diventare cittadini a
pieno titolo: almeno sulla carta, per cominciare.
Intanto conviene rilanciare la più realistica rivendicazione del
Coordinamento Migranti di Bologna e provincia: ai cittadini immigrati
sia garantito il rinnovo del permesso e della carta di soggiorno, anche
se nei prossimi due anni non potranno soddisfare i criteri di lavoro,
reddito, abitazione previsti dalla legge; la tassa per il rinnovo del
permesso sia sospesa per i prossimi due anni; sia assicurato trattamento
uguale nei soccorsi e nell’assistenza, a prescindere dalla regolarità
del soggiorno.